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Il mondo a pezzi, la guerra mondiale in frammenti: l’emergenza di un conflitto tra l’Occidente e il resto del mondo

Papa Francisco: “Estamos viviendo la Tercera Guerra Mundial a pedacitos” (El Pais, Montevideo). Domanda: ma è la guerra che si sta svolgendo a pezzetti, o il mondo che non appare nella sua interezza?

L’immagine del mondo del XXI è quella di un sistema complesso, frammentato in un’enormità di pezzi diversi, che però interagiscono in molte dimensioni, in una logica co-evolutiva dalla quale sembrano emergere aggregazioni molto grandi.

1. I pezzetti. In passato i cosiddetti corpi intermedi tenevano insieme le reti sociali, le economie, le politiche, internazionali e interne, con logiche che potevano anche apparire gerarchiche e lineari. La società della rete abilita un’immagine dell’organizzazione della convivenza molto diversa. Con la rete, i legami deboli si sono moltiplicati. E con essi le interazioni multidimensionali, le dinamiche co-evolutive, le possibilità alternative. Per i piccoli gruppi e per gli insiemi allargati. Sicché oggi l’immagine della complessità ha preso il sopravvento. All’interno dei sistemi politici e tra i sistemi politici.

2. Le aggregazioni emergenti. In questa complessità, si possono forse riconoscere regolarità che si manifestano nel corso delle interazioni tra i moltissimi elementi in gioco. Quando queste regolarità restano semplicemente nelle cose, si possono riconfigurare abbastanza velocemente. Quando diventano ideologie, accordi, investimenti, narrative, allora si cristallizzano e tendono a durare più a lungo. L’aggregazione emergente dopo la guerra in Ucraina sembra ancora senza un nome, ma comincia a prendere una forma.

Il papa teme che esista una guerra mondiale invisibile perché coperta dalla frammentazione del sistema globale. Ma chi sta combattendo questa guerra? Chi sono gli alleati? Chi sono i leader delle alleanze? Chi sono le colonie?

Se gli Stati Uniti dicono che l’Iran sta mandando armi alla Russia per aiutarla nella guerra in Ucraina (Bloomberg). L’Indonesia ha invitato Vladimir Putin al G20 (Times of India). L’India non schiera contro la Russia e anzi mantiene relazioni positive con il paese che ha attaccato l’Ucraina (AlJazeera). La Cina considera le sue relazioni con la Russia come un nuovo modello per l’ordine mondiale (Time). La Turchia tenta di porsi come intermediario nella guerra in Ucraina, come in certi momenti è apparso Israele. Che cosa emerge da tutto questo?

Non è una nuova Guerra Fredda, anzi. È molto calda. E come dice il papa, le armi vengono usate in molte parti del mondo. Certo, l’opzione nucleare resta fredda, per fortuna, ma viene continuamente agitata. Ma che cos’è allora?

C’è una visione del mondo che si sta sviluppando in tutti quei paesi che non appartengono alla sfera di influenza diretta degli Stati Uniti. Una visione del mondo nella quale quei paesi fanno essenzialmente i propri interessi e cercano alleanze flessibili che consentano di svilupparli. Di fronte alle grandi crisi globali – dal clima alla pandemia – si trovano ad aggregarsi in modo tendenzialmente autonomo dall’Occidente. Di fronte alle grandi filiere della produzione economica globale tentano di mantenere aperti i canali di collaborazione con l’Occidente, mercato imprescindibile, ma alcuni di quei paesi si stanno organizzando per non essere più troppo dipendenti dall’Occidente, grazie alla chance offerte dalla Cina. La guerra in Ucraina ha sdoganato un grande pragmatismo politico: l’ideologia conta meno dell’interesse politico. Ma un’impressione sembra emergere alla lunga: i paesi del resto del mondo, quelli che non sono completamente guidati dalla sfera d’influenza americana, stanno sviluppando una comune critica nei confronti del potere americano. Questa potrebbe essere un’aggregazione emergente: un nemico comune che unisce i diversi.

La visione del mondo Occidentale nasce forse dalla nostalgia di quando i paesi democratici erano chiamati a liberare il mondo, mentre il resto del mondo dominato da dittatori non aspettava altro che di essere liberato. Andava bene nella Seconda Guerra Mondiale, ma da allora le cose si sono complicate. Anche perché gli Stati Uniti hanno appoggiato molti dittatori per avere la loro alleanza contro i paesi avversari del sistema di potere americano. La purezza dei liberatori democratici si è persa nel tempo della Guerra Fredda ed è stata del tutto cancellata nel periodo del nuovo ordine mondiale seguito alla caduta dell’impero sovietico. Una parte degli Stati Uniti considera i suoi interessi come una questione superiore rispetto a qualsiasi altra. Questo è determinante nella dispersione del soft-power americano. Anche gli alleati degli americani sono portati a pensare allo stesso modo. In effetti, non si può tanto parlare neppure di conflitto di civiltà, visto che nell’Occidente tutti sono tentati di dividersi in tribù: gli anglosassoni, gli europei continentali, i sudamericani ispanici, i brasiliani… Salvo quando una guerra come quella dell’Ucraina si manifesta e compatta sotto l’ombrello americano tutti quelli che si sentono minacciati.

Il nuovo ordine mondiale non ha ancora una narrazione. Un piccolo episodio come quello della Dichiarazione sul futuro di internet, che si richiama ai sani principi di un’internet aperta e interoperabile, è indicativo: è stata firmata a Washington soltanto da 60 paesi – i 30 europei, tutti gli anglosassoni, piccoli paesi africani e asiatici – ma non è stata firmata dalla stragrande maggioranza del mondo. L’internet aperta e interoperabile è un valore di un piccolo gruppo di paesi ricchi. Gli altri vogliono un’internet controllata, chiusa, sovrana, indipendente dagli Stati Uniti e dai ricchi del mondo (Whitehouse).

Il mondo occidentale fa i suoi interessi, privilegia i suoi cittadini nella distribuzione dei vaccini per la lotta alla pandemia, limita l’immigrazione, non è un modello di società attraente ma anzi appare molto ineguale, è ricco e difende il suo potere, è responsabile della gran parte dell’emergenza climatica. Per essere un leader credibile per il resto del mondo dovrebbe fare qualche passo di generosità: dovrebbe attrarre invece che respingere, dovrebbe guidare invece che comandare. Al centro del problema ci sono gli Stati Uniti che a loro volta sono divisi come non mai in due grandi tribù, pronte secondo una maggioranza relativa dei suoi cittadini, a una nuova guerra civile (Brookings).

Se il mondo occidentale vuole avere alleati al di fuori della sua sfera di influenza deve concedere vantaggi agli altri. E cominciare a sviluppare una nuova narrazione che non si possa confondere con una manipolazione delle coscienze degli abitanti del pianeta ma sia una vera liberazione di possibilità per tutti. L’alternativa è che le società del mondo cerchino le loro possibilità altrove. E le trovino. Guidate dalla Russia per la guerra, dalla Cina per l’economia, dall’India o la Nigeria per la demografia (e un po’ di cinema)…

Concedere vantaggi agli altri non è debolezza, ma forza. Purché avvenga in un contesto di rispetto e di regole condivise. Perché non ripensare un po’ all’Onu, in tutto questo? Era una buona idea. L’urgenza di fare un salto di qualità nella convivenza degli umani sul pianeta è sempre più evidente. Chi rivelerà la strada giusta? Ci si perde nella complessità di tutto questo. Ma non ci si deve abbandonare in quella perdita di orientamento. Abbiamo interessi articolati: locali, internazionali, globali. Possibile che non si possano vedere con una chiara lista di priorità? Il clima non è forse il più importante problema di tutti gli umani? L’ineguaglianza non è forse il più importante motivo di conflittualità? L’ipertrofia del localismo non è forse il limite all’evoluzione culturale di molti?


Vedi:

Luca De Biase, In nome del popolo mondiale. Connessi, contaminati, cosmopoliti, Fazi 2001. Un’edizione di “In nome del popolo mondiale” è disponibile online su Archive.org.


Foto: “Headquarters of the United Nations” by United Nations Photo is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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