Una serie di lezioni del Politecnico di Torino intitolata “Tempi difficili” ha ricostruito la storia della pandemia e delle difficoltà che la società – particolarmente italiana – ha affrontato nel corso di questa esperienza.
Ne emerge, senza mezzi termini, la palpabile consapevolezza della necessità e opportunità di compiere un salto di consapevolezza per avviare la costruzione di una società nuova, fondata su un nuovo paradigma. È possibile?
Da un punto di vista molto sintetico, la società ha vissuto l’esperienza di vincere insieme una grandissima difficoltà. Ma i passaggi analitici possono prendere il sopravvento sull’idea sintetica.
Mentre si vinceva insieme una grandissima difficoltà, parti della società si sono allontanate tra loro e nell’estremità delle loro esperienze possono aver sperimentato il contrario di ciò che avveniva all’insieme. Al vertice della piramide globale c’è stato il rischio di una sorta di “si salvi chi può”, nel senso di chi aveva più potere. Alla base della piramide c’è stata l’esplosione della povertà, la disoccupazione che ha colpito soprattutto le donne e le microimprese, la perdita di tempo e di orientamento dei giovani. In questo contesto, si rischia una disgregazione sociale nella ricerca dell’interesse particolare o nella resistenza al disastro specifico. Ovviamente i demagoghi della disgregazione sociale sono sempre pronti ad avvantaggiarsi di qualunque problema divisivo.
Ma come la pandemia si può vincere solo insieme, anche la “sociodemia” e l’infodemia si vincono solo insieme.
Il virus in effetti si vince insieme. Questo lo si è compreso. Salvo frange molto estreme che hanno continuato a mettere in dubbio l’utilità dei vaccini, la maggioranza della popolazione si è accorta che “il virus si vince insieme” perché, se l’avversario è il contagio, salvare sé stessi significa salvare gli altri e viceversa. (Non è il solo tema che fa questo effetto: anche il cambiamento climatico, per esempio, è capace di unire le consapevolezze).
Se prevale l’esperienza della “vittoria insieme” la società può entrare in un’epoca guidata dal bene comune.
Si può arrivare a comprendere, come hanno suggerito ciascuno a suo modo Elena Granaglia, Fabrizio Barca ed Enrico Giovannini nell’ultima puntata di “Tempi difficili”, che la soluzione a molti problemi della società fa bene non solo ai diretti interessati ma a tutti. La ridistribuzione del reddito e della ricchezza, per esempio, è necessaria a chi ha di meno ma è utile anche a chi ha di più: essere i più ricchi di una società disastrata non è propriamente una ricchezza. A qualcuno dei 2700 miliardari del pianeta che nel corso della pandemia hanno guadagnato complessivamente 5mila miliardi di dollari può venire in mente di rimodellare la società a suo piacimento, ma la complessità della vita sociale è tale che senza una giusta distribuzione delle risorse non funziona niente.
Il programma è puntare sulla ricostruzione di infrastrutture sociali che servano a dimostrare nel tempo il valore del bene comune. La sanità non è soltanto un’agenzia che fornisce cura in cambio di tasse e ticket: è un pilastro della vita in comune e deve essere presente nel territorio, nelle relazioni sociali, nelle conversazioni educative. Le strutture dell’accesso alla cultura non sono parte del superfluo ma l’essenza delle modalità con le quali una società migliora attraverso le crisi, organizzando l’apprendimento continuo e l’allenamento delle capacità che servono ad affrontare il cambiamento. La scuola è il motore dell’ascensore sociale, è il collante della società, è la dimostrazione che la comunità pensa al futuro, è un servizio alla coesione e all’inclusione, è il terreno di sviluppo del rispetto tra le diverse componenti della società. Le piattaforme del lavoro, della mobilità, dei sistemi di produzione dell’energia, delle città e delle reti territoriali, sono altrettante infrastrutture essenziali. Tutto questo è da riprogettare, per il bene comune.
Vedi:
Michael Sandel, La tirannia del merito, intervista.
Ezio Manzini, Abitare la prossimità, Egea 2021
Vedi peraltro:
Rebecca Henderson, Reimagining Capitalism, Penguin 2020
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