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Leadership e senso di colpa. Brian Chesky ceo di Airbnb

Lo spunto è la lettera ai dipendenti con la quale il ceo di Airbnb, Brian Chesky, annuncia la decisione di licenziare il 25% dei collaboratori. Una bella analisi è scritta da Tim Denning.

Una filosofia molto diffusa – e rilanciata nel mondo dal neoliberismo – insegna che i poveri, gli esclusi, quelli che non hanno successo, sono i primi colpevoli dei loro problemi. In questa filosofia, non è la società, la gerarchia economica, il sistema di regole a determinare l’insuccesso personale: è la mancanza di voglia di lavorare, la mancanza di creatività, di flessibilità, di impegno che determina l’insuccesso. I poveri sono colpevoli. Perché in un mondo competitivo, chi merita vince. Dunque, chi vince merita: gli altri no. La meritocrazia in quanto ideologia è anche questo. Nelle società che denunciano la mancanza di meritocrazia, la sofferenza dei meritevoli ai quali è impedito di emergere è un problema altrettanto rilevante, ovviamente. Ma qui stiamo parlando di un’altra cosa. Stiamo parlando delle società che hanno costruito il loro contratto sociale sull’idea che la meritocrazia esista e che il destino di ciascuno sia definito dal merito che ciascuno si è guadagnato.

Dal Milton Friedman del 1962 in poi, il neoliberismo predica che la sola responsabilità delle aziende è quella di generare denaro per gli azionisti. In quella filosofia non hanno altra responsabilità e non si devono curare degli stakeholder, i lavoratori licenziati, i cittadini il cui ambiente viene inquinato, gli esclusi dal sistema educativo e così via. Dalla fine degli anni Settanta, Margaret Thatcher ha addirittura negato l’esistenza della società, ideologicamente abolita a favore della sola esistenza di persone che decidono razionalmente o meno del proprio destino, nel quadro di un sistema informativo che mette a disposizione di tutti le opportunità: il mercato.

Questo significa che i poveri se la sono cercata.

Ebbene. Brian Chesky non la mette così. La sua lettera è fatta per negare che i licenziati abbiano alcuna colpa. La sua azienda ha successo. Ha problemi per il Covid-19. Ne uscirà ritornando alle sue radici. E il futuro è da ricostruire. Per l’azienda e per tutti. Vale la pena di leggerlo.

È un concetto simile a quello che sviluppano i paesi che coma la Germania e la Francia finalmente si prendono la responsabilità dell’Unione Europea. Mentre gli olandesi e gli altri nordici si oppongono. Gli olandesi sembrano convinti che i problemi del paesi come l’Italia siano colpa loro. E gli italiani un po’ la pensano allo stesso modo. Niente deve impedire a questi ultimi di prendersi le loro responsabilità. Ma in un sistema complesso, niente deve impedire di vedere le responsabilità delle regole che governano la competizione e che favoriscono alcuni a danno di altri. Nel caso specifico la competizione tra sistemi fiscali favorisce l’Olanda e sfavorisce l’Italia che, come conseguenza, ha meno denaro da usare per ridurre il suo debito, cioè il totem della sua colpa.

Il pensiero della colpa non è innovativo. La responsabilità lo è. La colpa discende da un’etica statica. La responsabilità è dinamica e creativa. Interpreta il cambiamento. E sta nella complessità. Dunque, tra l’altro, non funziona senza una buona conoscenza di come stanno le cose. Come conseguenza, si determina una chiara convergenza tra etica innovativa ed epistemologia pragmatica. Che, in un mondo nel quale si conosce attraverso sistemi che amplificano i sensi per via digitale, generando conseguenze cerebrali potentissime, alla fine la filosofia della percezione entra in gioco. Sicché sarebbe da indagare la convergenza di etica, epistemologia ed estetica. L’approccio a tutto questo potrebbe essere evoluzionistico: e l’ecologia dei media potrebbe essere il contesto di riferimento di una parte interessante di questa analisi.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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