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L’Italia è un’espressione artistica

Prologo

Stiamo facendo ricerca sul “lavoro del futuro“. Questo richiede la forza di studiare il lavoro. E di pensare il futuro. Una delle scoperte che si fanno in questo percorso è che il mondo del lavoro evolve velocemente, con tecnologie e organizzazioni che si trasformano, rendendo obsoleti certi mestieri a un ritmo superiore a quello che le società si erano abituate a sopportare, e generando la necessità di modificare la preparazione richiesta a chi lavora. Si comprende che il sistema educativo deve imparare a insegnare a guardare strategicamente al lavoro, con spirito critico e interdisciplinare, empirico e pragmatico, giocando in squadra e sapendo raccontare il senso del progetto al quale si partecipa. L’idea di progetto in effetti diventa il connettore ideale di ogni operazione: il progetto consente di leggere il senso dell’attività che si svolge, aiuta a mettere insieme le risorse che servono a realizzarlo, spiega perché occorre apprendere nell’immediato una tecnica specifica anche se nel medio termine sarà superata.

C’è una conseguenza di tutto questo. Occorre insegnare e imparare a… immaginare.

Scienza e arte

Non c’è argomento più creativo, ambiguo, aperto, potenzialmente fallimentare e nello stesso tempo potenzialmente fondativo del rapporto tra scienza e arte. Se ne parla sempre più spesso. Sta divendando un luogo di riflessione diffuso. Impossibile accennare a una carrellata di esempi esaustiva. A San Francisco, comunque, la cifra della scena artistica è guidata dall’idea, probabilmente non disinteressata, che sia possibile interpretare figurativamente la trasformazione tecnologica. A Bologna, è nato all’opificio Golinelli, il centro Arti e Scienze per fare ricerca – e mostrarne i risultati – sull’incontro delle esplorazioni orientate al futuro. A Napoli, o meglio a Marcianise, F2Lab con il Comune fa dell’interazione tra arte e innovazione una strategia di rigenerazione urbana. Ma l’elenco sarebbe infinito. Che cosa significa? Non è la fine della distinzione tra umanistico e scientifico: è molto di più. È la fusione di ogni ricerca in una sola disciplina quando si esplora oltre il limite del possibile, quando si sposta l’asse della ricerca sul futuro con spirito libero, empirico e costruttivo.

Forse è la presa di coscienza di una realtà che era chiara, per esempio, ai cultori della letteratura.

Il potere generativo della letteratura è collegato certamente alla sua capacità di interpretare e dare forma a un immaginario al quale poi le comunità si ispirano e nel quale si ritrovano a vivere. Come la tecnologia, come la scienza, come l’arte in generale, come in generale tutte le sorgenti che guidano la costruzione dell’immaginario, anche la letteratura contribuisce alla generazione della nicchia eco-culturale nella quale le società si adattano, mutano, evolvono, fino a quando non creano nuove nicchie eco-culturali (il concetto che unisce tecnologia ed evoluzione è sviluppato da Telmo Pievani in “Come saremo”).

Ecologia dei media

Per esempio. Questa idea per cui la velocità del cambiamento tecnologico è più veloce della capacità di comprensione della cultura umana è un’interpretazione letteraria sviluppata in America all’inizio del Novecento, come racconta Elena Lamberti nel suo libro “Controambienti letterari. Classici newyorkesi dell’era elettrica”, Clueb 2018. E tutto parte dall’intuizione secondo la quale l’ambiente naturale e artificiale si sono definitivamente fusi (e confusi). A quel punto l’indagine sull’ecologia dei media e l’indagine sull’ecologia tout court sembrano fondersi. Ma se questo è vero, allora la ricerca delle scienze naturali e l’esplorazione letteraria dell’ambiente mediatico, a loro volta, si confondono. «L’ecologia dei media è, infatti, un campo di ricerca interdisciplinare che ha per oggetto lo studio degli stessi concepiti come ambienti, e indaga il ruolo primario che i media (intesi come forme della comunicazione letterata, orale o post-letterata), le tecnologie e le forme simboliche hanno nel divenire delle questioni umane», scrive Lamberti. A questo punto, nell’immaginario, il costruito e il naturale si uniscono. Dunque si uniscono le ricerche le lo riguardano. E questo ha conseguenze sulla storia della società. Che si vede all’interno di una realtà. Che comprende la realtà come un insieme di possibilità. E che non riesce a concepire di fare l’impossibile: fino a quando per via di esplorazione, artistica e scientifica, non si rende conto di poter superare quello che riteneva il possibile. L’evoluzione umana si forma lì: in quelle mutazioni culturali che trasformano il possibile e assorbono nella sua dimensione qualcosa che non si pensava lo fosse.

L’Italia è un’espressione artistica

Le conseguenze dell’immaginario sono straordinarie. Isaac Asimof ha guidato l’immaginario tecnologico per mezzo secolo e ancora oggi si presentano al Parlamento europeo delle proposte che contengono le sue leggi della robotica. Sicuramente, Arthur C. Clarke, con la sua Odissea nello spazio, ha infuenzato l’immaginario sull’intelligenza artificiale e ancora oggi è citato per parlare della possibilità che i computer vadano fuori controllo. Philip Dick è tutt’ora al centro dell’immaginazione su quello che si può fare con l’ingegneria genetica e quando si pensano le conseguenze dell’editing genetico si finisce col pensare a Blade Runner.

Per gli italiani tutto questo è persino un fatto identitario.

L’idea di Italia è stata fin dall’inizio un’idea letteraria da Virgilio a Petrarca e Dante, fino a tutto il Settecento: lo ricorda David Gilmour nel suo libro “The pursuit of Italy. A history of a land, its regions and their peoples” (Allen Lane 2011, recensione sul Guardian). E lo dimostra Alberto Banti nel suo “La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita” (Einaudi 2000): è la letteratura il luogo culturale nel quale si forma l’idea che l’Italia sia possibile, che le distinzioni tra i popoli che la abitano siano meno importanti di quanto li unisce e soprattutto che valga la pena di dare la vita per liberarla dagli stranieri e dalla vecchia frammentazione per costruire una grande, giovane nazione orientata al futuro.

Molti lamentano altri ammirano una sorta di teatralità italiana. Una sorta di “non so che” tipico della cultura italiana che sembra condannare il discorso locale alla chiacchiera più che alla sostanza, secondo i primi, ma che si rivela parte integrante del genius loci capace di emozionare oltre che di ispirare al gusto e alla qualità della vita: può essere legato a quell’origine? Discorso vago. In realtà, molto probabilmente, gli italiani sono pragmatici e idealisti, razionali e artistici, come tutti gli altri popoli. Ma i loro atteggiamenti, visti da fuori d’Italia, quando gli stereotipi servono alle relazioni immediate e ai pregiudizi strumentali, possono sembrare, in un certo senso, letterari.

L’Italia non è soltanto un’espressione geografica. Di certo non è neppure una struttura istituzionale e culturale compiuta, unitaria e matura come il Regno inglese o la Repubblica francese. Forse però è davvero un’espressione artistica. Nel senso che è diventata una realtà dopo essere stata immaginata dall’arte.

Non abbiamo mai smesso di discutere se questo percorso immaginario sia stato quello giusto. Ma gli italiani non dovrebbero dimenticare mai, proprio per “come sono stati fatti”, che l’arte è parte integrante della realtà storica, non una dimensione giustapposta: ha conseguenze, non solo cause. La bellezza, che molti italiani vantano come una sorta di elemento costitutivo dell’identità italiana, si può disperdere e rovinare se non se ne comprende l’intensa connessione al resto della struttura storica. La tecnologia e l’estetica, come la legge e l’epistemologia, evolvono nella stessa dinamica culturale.

Prima e dopo

Tutto questo serve per dimostrare l’importanza dell’arte nella costruzione dell’immaginario e delle sue conseguenze. La narrazione guida l’azione. Il quadro narrativo guida la strategia. Tutto questo non va pensato con un approccio lineare. Siamo comunque in un sistema complesso. Come l’ecosistema studiato dall’ecologia dei media, come la tecnologia studiata da Telmo Pievani, come la storia studiata da Banti. E quindi è evidente che a sua volta l’arte emerge nelle forme che assume perché si trova in un contesto reso mutante grazie alla scienza, alla tecnologia e a mille altre dinamiche. Causa e conseguenza non è questione di prima e dopo. Come del resto correlazione non è causa. L’emergere delle regolarità in un sistema complesso non è indice di una storia lineare ma di un insieme incredibile di coevoluzioni, adattamenti, mutazioni, e così via. E dunque che cosa stiamo dicendo esattamente?

L’evoluzione è l’esplorazione delle possibilità. Ed è chiaro che esistono dimensioni che attivano nuove possibilità. Che vanno create, viste, raccontate, connesse, progettate. L’insieme di tutto questo è ciò che un giorno vedremo come risultato di discipline che, come scienza e arte, tutt’ora nominiamo separatamente e cerchiamo a fatica di connettere pur sapendo che vengono dalla stessa esigenza e vanno verso la stessa frontiera. Oltre il limite del possibile.

Anche il lavoro del futuro si richiama a nomi imprecisi e tradizionali, come specializzazione tecnica e apertura umanistica. Gli opposti si possono toccare. Il lavoro del futuro non sarà necessariamente la fatica che serve a guadagnare ciò che serve per vivere, non sarà necessariamente un insieme di gesti tecnici richiesti da chi li paga. Sarà, insieme, tecnica ed economia ma anche gesto creativo, relazione empatica, progetto umano. Sempre che si riesca a pensare il cambiamento invece che subirlo passivamente.

Gli italiani sono favoriti o sfavoriti in questo passaggio storico? Per quanto si è detto possono anche essere favoriti. Ma solo se smettono di crogiolarsi nella loro narrazione attuale che li rende oggetti passivi del cambiamento e se prendono consapevolezza della situazione diventando soggetti attivi della loro storia. È tempo di pensare bene al presente, conoscere il passato, per preparare il dopo.

1 Commento

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  • Caro Luca, grazie come sempre per questi post molto stimolanti. Leggendo questo, in particolare, mi sono venuti in mente due TEDx talk che abbiamo curato a Varese e che ti segnalo:

    – il primo parla di quanto conta la cultura nelle nostre città, e di come si sta tendando di misurarla: https://youtu.be/ZLT6AN2pkkw

    – il secondo parla invece del futuro del lavoro e formazione con la prospettiva di Pino Mercuri, capo delle risorse umane di Microsoft Italia. Penso sia un interessante punto di vista per il tuo lavoro di ricerca: https://youtu.be/TpJ2LjF16s8

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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