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Guest post. “Come saremo” recensito da Elena Lamberti. Grazie!

Elena Lamberti, grande esperta di ecologia dei media, è stata così gentile da partecipare alla presentazione di Come saremo al Festival del giornalismo di Perugia. E con l’occasione ha riflettuto sul libro. Ecco il suo testo – la cui importanza va ben oltre quella di una recensione – con un sentito ringraziamento.

COME SAREMO. Storie di umanità tecnologicamente modificata – Luca De Biase, Telmo Pievani (Codice Edizioni, 2016).

Tra il 1923 e il 1931, la casa editrice londinese Kegan Paul pubblicò una serie di saggi critici denominata To-day and To-morrow (letteralmente ‘oggi e domani’) a cura di C. K. Ogden, linguista, filosofo e letterato inglese, già co-fondatore della Società degli Eretici di Cambridge, nel 1909. L’intento dichiarato era quello di riflettere sul futuro, ovvero di stimolare riflessioni di ‘futurologia’ sfidando l’intellighenzia britannica a esplorare innovazioni del presente destinate ad avere effetti di lunga durata sugli ambienti scientifico-culturali del Novecento. Letti oggi, quei piccoli volumi (ben 150 quelli pubblicati, con firme anche prestigiose quali quella di Bertrand Russels, Vera Brittain e Robert Graves) costituiscono una sorta di ‘memoria del futuro’ capace di intercettare fenomeni scientifici, tecnologici e culturali divenuti, nel corso del secolo, realtà note e condivise anche al grande pubblico: prostetica, robotica, interconnettività, globalizzazione sono alcuni dei termini intuiti ed esplorati dagli autori di To-day and To-morrow che oggi ci suonano familiari, a riprova di come non sia, di fatto, impossibile ragionare sul ciò che sarà se solo lo si vuole fare con la leggerezza tipica dell’osservazione logicamente creativa o creativamente logica. Un’operazione simile viene proposta da Luca De Biase e Telmo Pievani a conclusione del loro volume Come saremo. Storie di umanità tecnologicamente modificata, aggiornata, naturalmente, ad oggi. L’appendice ‘Progetto per il discernimento’ propone ai lettori le prime risposte avute a due domande poste dagli autori a tutta la comunità di lettori per continuare online l’esplorazione iniziata nel volume a stampa, ovvero: “Qual è stata la tecnologia, il risultato scientifico, l’oggetto di design, il libro, il prodotto culturale, più importante dall’inizio del terzo millennio? E perché?”. Le prime risposte puntano nella direzione delle ICT, quelle Information and Communication Tecnologies che sembrano ormai dominare la nostra realtà e la nostra immaginazione. Sarà interessante, alla fine del nostro secolo, verificare se anche questa appendice sarà servita a creare una nuova ‘memoria del futuro’ (e non è una ipotesi così azzardata darsi appuntamento tra una ottantina d’anni, anche alla luce delle nuove sperimentazioni nel campo della biologia molecolare o degli studi sul genoma le cui potenzialità sono ricordate nel volume).

Il testo di De Biase e Pievani non è però un mero esercizio di immaginazione logico-creativa, ma un tentativo serio e riuscito di cercare modi per immaginarci il/nel futuro a partire dal recupero di discorsi scientifici spesso semplificati, se non banalizzati, in cliché di facile consumo. Viene recuperata la teoria dell’evoluzione in chiave ecologica o, meglio, di ecologia dei media, liberandola dal mero paradigma determinista di causa-effetto o di ‘lotta per la sopravvivenza del migliore’ che tanti danni ancora fa nelle nostre scuole (e ci va ancora bene, visto che in alcune aree degli Stati Uniti Darwin è, di fatto, sconfitto dai nuovi creazionisti). Il concetto di ‘nicchie eco-culturali’, ambienti complessi in dialogo tra loro e in costante evoluzione, è al centro del recupero delle idee di Darwin, che in questo volume torna ad essere un esploratore di possibilità e non un fomentatore di lotte destinate a sconfiggere l’elemento più debole. ‘Adattamento’, ‘co-evoluzione’, ‘ecosistema’ sono le parole chiave che portano il lettore ad interrogarsi su come l’innovazione sia, di fatto, un processo costruito a partire dalle relazioni (più o meno rispettose) tra gli individui, così come tra gli individui e gli ambienti (naturali, artificiali, culturali, tecnologici) da loro abitati e che evolvono, ovvero cambiano, nel tempo. La comprensione di concetti all’apparenza ‘specialistici’ (implementazione funzionale progressiva; cooptazione funzionale; exaptation) diventa qui un gioco semantico che si costruisce con una tecnica che i maestri dell’impressionismo letterario (ancora il primo Novecento) avevano già definito come ‘progressione d’effetto’: le conoscenze si acquisiscono con un processo cumulativo che procede non per linea retta (come in una catena di montaggio), ma per associazione (come in un eco-sistema sensoriale e semantico). Le nozioni non si inanellano in modo conseguente o gerarchico, ma si distribuiscono a nuvola e creano percorsi possibili e simultanei. Come saremo si costruisce così su uno storytelling coerente con la teoria che recupera: aperto all’esplorazione di più possibilità, non chiuso nella trasmissione di sapere incapsulato in cliché di facile consumo. Il risultato è affascinante e, anche, chiaro.

L’idea di ‘cultura del progetto’ è tra quelle più interessanti e funzionali proposte da De Biase e Pievani: si tratta di un vero e proprio concetto di ecologia dei media e presuppone un dialogo rispettoso tra le diverse nicchie eco-culturali che abitano e costituiscono un ambiente, da intendersi non come contenitore passivo di situazioni tecnologiche e culturali, ma come habitat in continuo movimento dentro il quale si crea continuamente innovazione. Perché l’innovazione diventi fatto e abitudine del quotidiano occorre però una collettività capace di intercettarla e condividerla; sarebbe bello, se quella collettività fosse ampia, trasversale e ‘partecipata’ e non ristretta e rappresentativa di interessi specifici e non necessariamente utili per tutti. Come saremo incoraggia la partecipazione consapevole della comunità allargata alla presa di coscienza di situazioni del contemporaneo che spesso deleghiamo, più o meno ingenuamente, a pochi: decidere non è sempre facile, capire cosa è l’innovazione altrettanto. Eppure, De Biase e Pievani lo dicono bene: innovazione non è solo tecnica o nozionismo, ma nel nostro ambiente contemporaneo (laddove i media sono ambiente pervasivo e non neutrale, non più mera estensione tecnologica dell’uomo) innovazione è innanzitutto senso di responsabilità allargata, voglia di capire e di partecipare, voglia di impegnarsi in un progetto di ricerca collettivo per discernere cosa è davvero importante per la qualità della nostra vita. Il soft power, concetto sviluppato negli anni novanta in ambito Nordamericano da Joseph Nye, è una strategia (spesso a costo zero) per contrastare il poter fondato su dominanti forti – le armi, l’economia e la finanza, le risorse materiali – e arrivare a riorientare il mondo dal basso; una strategia che parte dalla voglia di non accettare passivamente la direzione imposta al mondo da quello che l’urbanista statunitense Lewis Mumford chiamava ‘il pentagono del potere’ (politica, energia, produttività, profitto, informazione, le cinque dita di una macchina del potere gerarchica e pervasiva). Il soft power è però spesso anche un concetto che resta, nel nostro quotidiano, più enunciato che agito, una idea da condividere sì ma delegando ad altri l’azione diretta; in noi rischia di prevalere il senso, profondo e radicato, di sfiducia nella capacità di poter incidere per davvero sui meccanismi decisionali del nostro mondo e dal basso. Chiederci “Come saremo” è, in questo contesto, una prima re-azione; trovare modi per discernere quel come è il passo successivo. Farlo insieme, come comunità di cittadini consapevoli, sarebbe quasi una rivoluzione, anzi una evoluzione per dare forma a una nuova nicchia eco-culturale, etica, responsabile e, dunque, consapevole.

Elena Lamberti (Letterature Anglo-Americane) è specializzata in letteratura modernista, memoria culturale, ecologia dei media, letteratura di guerra. E’ autrice di 8 volumi ed ha pubblicato numerosi articoli e saggi sul modernismo anglo-americano e sulla cultura anglo-canadese del ventesimo secolo. Persegue una metodologia di ricerca interdisciplinare, con la letteratura al centro di percorsi innovativi finalizzati alla lettura degli ecosistemi (mass)mediatici complessi. Il suo volume Marshall McLuhan’s Mosaic. Probing the Literary Origins of Media Studies (2012) ha vinto il MEA Award 2016 for Outstanding Book in the Field of Media Ecology. E’ membro di diversi comitati scientifici di riviste internazionali quali Explorations in Media Ecology; Wi: Journal of Mobile Media; The International Journal of McLuhan Studies e collane editoriali. E’ stata visiting scholar in diverse università Nord Americane e cinesi. E’ affiliata al Mobile Media Lab della Concordia University di Montreal.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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