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Ducati, lire, piccoli… Il dibattito sull’euro avviato da Zingales sul Sole 24 ore

Ovviamente, non può essere il mio compito quello di contribuire al dibattito sulla permanenza dell’Italia nell’euro avviato da Luigi Zingales sul Sole 24 Ore. Ma sono affascinato dalle domande che l’economista propone di porsi: “Primo, se nel lungo periodo è preferibile per un Paese come l’Italia avere una moneta comune con il resto del (Nord) Europa o no. Secondo, quanto elevati (e duraturi) possano essere i vantaggi e gli svantaggi della svalutazione della nostra moneta nazionale che seguirebbe naturalmente dopo un’uscita dell’Italia dall’euro. Terzo, quanto elevati sarebbero i costi (economici e politici) di una nostra uscita unilaterale dall’euro”.

La deliberazione, cioè l’attività di soppesare i pro e i contro delle scelte alternative, è un’attività sottovalutata in Italia (e non solo). Le idee sono piuttosto prese di posizione e le informazioni sono spesso strumentali alle prese di posizione. Le domande di Zingales invece implicano la possibilità che le idee siano il frutto dell’analisi dei dati e della costruzione di ipotesi, che a loro volta sono migliorabili a fronte di nuovi dati.

La prima domanda affascina perché sottolinea la cultura del lungo periodo, di solito dimenticata. E sorprende perché implicitamente suppone che esista il modo di valutare la preferibilità dell’una o dell’altra soluzione da un punto di vista generale: cioè per tutti. Suppone cioè che esista un bene comune e non si sia condannati a una contrapposizione labirintica di interessi contrapposti, per i quali qualunque scelta è buona per pochi e cattiva per tutti gli altri. Un approccio di grande valore!

La seconda domanda propone una deliberazione intorno alla supposizione sostenuta senza mezzi termini che una moneta nazionale adottata dall’Italia dopo uscita dall’euro si svaluterebbe. Dirlo è un dovere per un economista anche se può non piacere ascoltarlo. Che le probabilità di svalutazione siano molto elevate è convinzione generalizzata. Ma la svalutazione significa anche: inflazione, perdita di potere d’acquisto, esportazione di capitali, miglioramento della competitività in termini di prezzo e minori incentivi a migliorare la qualità? Sapendo che il debito italiano è denominato in euro e sempre più in modo non convertibile in altre valute, una moneta svalutata potrebbe determinare un peggioramento drammatico? Tutto questo è intrinsecamente alluso dalla supposizione iniziale?

La terza domanda riguarda i costi dell’uscita. E dunque dice che ci saranno dei costi. Non si potrà fare a meno di pagare quei costi. Che si aggiungono a tutti gli altri costi che vogliamo sostenere. Solo una risposta molto convincente alla prima domanda potrebbe dare un senso a questi costi. Forse la prima domanda, alla fine, racchiude tutte le altre.

E allora guardiamo al lungo periodo.

Se guardiamo indietro, nel lungo periodo, in Italia, ci sono state molte monete contemporaneamente. A Venezia, per esempio. Ducati e zecchini come monete forti per la grande finanza e le grandi ricchezze. Lire e piccoli per le attività quotidiane della popolazione. Una moneta forte, una moneta rifugio, una moneta di riferimento per interpretare il sistema nel suo complesso, c’è sempre stata e ci sarà sempre. E’ stata l’oro, il dollaro, il marco, l’euro. E in futuro ci sarà ancora. Una moneta di riferimento per tutto è necessaria come il tasso di interesse definito dalla banca centrale. Genera una sorta di coordinamento tra tutti gli aspetti della finanza e dell’attività bancaria che poi si dipanano in tutte le attività principali del capitalismo. Si può immaginare che in futuro il bitcoin – o qualcosa di simile – superi la necessità di una banca centrale? Forse, ma soltanto se avrà tanto successo da sostituire le monete governate da banche centrali e diventare a sua volta la moneta di riferimento. Ebbene, l’Italia avrà sempre a che fare con la sua moneta forte, dovrà accettare di pagare i beni internazionali con una moneta forte: la differenza è avere un seppur piccolo potere di intervento sulla governance di quella moneta – come avviene con l’euro – oppure lasciare del tutto ad altri il compito di occuparsene – come avverrebbe con il dollaro o con l’euro, una volta abbandonata la moneta europea. D’altra parte di monete per la vita quotidiana ne stanno venendo fuori un po’ dappertutto. In Sardegna, il Sardex ha aperto una strada di grande importanza per un’economia di comunità intelligente. La Svizzera conosce il Wir da molto tempo. E i crediti o le app di vario genere non fanno che aumentare il numero e la flessibilità degli strumenti di pagamento disponibili: il digitale li moltiplica. Sicché una domanda alternativa alle tre di Zingales può essere: è possibile aumentare la flessibilità del sistema monetario in Italia aumentando le monete complementari, digitali, alternative e specializzate per vari aspetti della vita quotidiana invece di abbandonare l’euro?

Insomma: il bisogno di criticare l’euro è legato al bisogno di aumentare la flessibilità del sistema monetario per adattarlo alle più disparate esigenze economiche; la sovranità sulla moneta è sempre relativa; la sovranità condivisa su una moneta forte genera un’autonomia monetaria relativa; ma anche l’autonomia monetaria di un piccolo governo di un paese economicamente molto indebitato è relativa rispetto alle monete forti dei paesi grandi e solidi. Nel lungo periodo, dove si può esplicare meglio l’autonomia dell’Italia?

ps. Se la Francia dovesse scegliere di rompere l’Europa, tutto questo sarebbe un dibattito superato. L’autonomia e la sovranità italiana sono sempre stati un concetto molto relativo.

pps. Nel frattempo 25 Nobel scrivono dell’euro in relazione alle elezioni francesi…

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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