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A ferragosto pensando al lavoro… Industria 4.0 a cura di Annalisa Magone e Tatiana Mazali

libro_industria40Il dibattito internazionale sul futuro del lavoro continua, anche a ferragosto. Perché probabilmente è uno dei temi più appassionanti, preoccupanti, definitori della prospettiva che abbiamo di fronte, almeno in Occidente.

Uno studio fin troppo famoso pubblicato nel 2013 da Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne, due ricercatori dell’università di Oxford, ha preconizzato la possibilità che addirittura il 47% dei posti di lavoro siano a rischio di essere sostituititi da macchine basate sull’intelligenza artificiale. L’Ocse ha contestato questo calcolo e ha parlato casomai di un 9% di posti di lavoro a rischio, suggerendo che la prima azione da intraprendere è comunque quella di aumentare gli sforzi per l’adeguamento delle competenze. Enrico Moretti peraltro stima che per ogni posto di lavoro creato dall’industria hi-tech, ci sono cinque posti in più, di natura complementare, che si aggiungono nel settore dei servizi (vedi Stefano Scarpetta su Nòva). Intanto, i sindacalisti di Detroit escono con un po’ di informazioni e opinioni che smentiscono le previsioni più preoccupanti: tutti freelance? tutti contractor di Uber? Miti e fantascienza dicono a LaborNotes.

Sta di fatto che tra robot, sensori e big data, automazione spinta, le mansioni richieste in fabbrica cambieranno. In Italia, ci si batte intellettualmente perché la strada intrapresa dall’industria nel contesto digitale non sia soltanto una forma di colonizzazione culturale (di stampo americano o tedesco). L’idea è che gli italiani hanno una tradizione manifatturiera che si basa sulle capacità delle persone: anche se l’automazione industriale è uno dei punti di forza dell’industria italiana questa è vista come una tecnologia per aumentare le capacità delle persone di interpretare il gusto e la qualità, soprattutto nei settori più capaci di valore aggiunto dell’agroalimentare, dell’arredamento e dell’abbigliamento. Insomma sostituzione ci sarà: ma non necessariamente riduzione complessiva dei posti di lavoro, casomai trasformazione dei posti di lavoro. O almeno si spera.

La X commissione della Camera dei deputati ci ha lavorato molto e bene, con Guglielmo Epifani alla presidenza, Lorenzo Basso e diversi altri deputati di ottima volontà e apertura mentale (Indagine conoscitiva). Il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda saggiamente ha apprezzato il lavoro della Camera e dichiarato che lo porterà avanti. In realtà, doveva già annunciare le prime misure il 5 agosto come aveva detto con molto anticipo ed era pronto a farlo, per quanto ci risulta: ma l’atteso annuncio è stato rimandato. Peraltro, il presidente del consiglio quel giorno era a Rio e non poteva partecipare. Immaginiamo che, vista l’urgenza dell’argomento, la questione sarà ripresa al più presto.

Nell’attesa si può leggere con grandissimo gusto il libro curato da Annalisa Magone e Tatiana Mazali dal titolo Industria 4.0, Uomini e macchine nella fabbrica digitale. La bellezza del libro sta proprio nel fatto che si entra in fabbrica e si vede quello che sta realmente succedendo. Si scoprono le varie interpretazioni dell’automazione e della contestualizzazione economica della digitalizzazione. Si vede che la cultura della fabbrica, in Italia, è radicata e non appare destinata a scomparire. Dopo il 2008, l’Italia ha perso il 25% della produzione industriale, un’enormità: ma non ha perso il gusto della fabbrica. Andarci dentro è affascinante anche per i profani. Il libro va letto.

Vedi anche:
Tre cose che cambiano con industria 4.0
I Dati Uniti d’Italia. E altri appunti per un’audizione alla Camera su industria 4.0
Alla Camera per “industria 4.0″. Un bel pomeriggio di politica civile

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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