L’approccio Big Data si sta facendo strada in Italia. In un percorso parallelo, l’industria riunita alla Luiss ha dimostrato la fattibilità e l’opportunità di usare i dati come un patrimonio da valorizzare (Luiss), e l’Istat ha dichiarato che ci crede e ci investe, dopo le sperimentazioni già effettuate (Forumpa).
La statistica ufficiale ha qualcosa da dire anche nell’ambito dei Big Data. È evidente che il vecchio sistema a base di sondaggi, ottimo per quando i dati erano scarsi, si deve adattare e integrare nel nuovo contesto nel quale i dati sono abbondanti. Ma è pure chiaro che non bastano tanti dati a fare buona conoscenza. Resta il compito di promuovere e valorizzare la cura dei dati, la visione critica del loro significato, la profondità della loro interpretazione. Nel mondo dei dati abbondanti la qualità scientifica è ancora scarsa.
La raccolta di dati e il loro confronto con informazioni di origine non omogenea, il riconoscimento di pattern, il senso delle correlazioni, la profondità scientifica delle teorie e delle ipotesi, la disponibilità all’approccio sperimentale, sono cose che non si risolvono con una tecnologia. Ci vuole scienza.
L’industria comincia a chiederlo. Le esperienze raccontate ieri alla Luiss lo testimoniano. Ormai si decide a base di dati non solo il marketing, ma anche la produzione, la localizzazione dei negozi, la struttura dell’offerta, la velocità di reazione al cambiamento e così via. Non bastano buone tecnologie di raccolta dei dati interni alle aziende. Vanno connessi con i dati che vengono dal contesto. E vanno interpretati correttamente. L’Istat potrà dare una mano. E diventare un motore di qualità per l’innovazione.
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