E dunque la Commissione del lavoro della California ha dato ragione a una autista che chiedeva di essere trattata come dipendente. E ha condannato Uber a pagare le spese da lei sostenute nello svolgimento del lavoro. Uber va in appello (Slate).
“Defendants hold themselves out as nothing more than a neutral technological platform, designed simply to enable drivers and passengers to transact the business of transportation,” the commission writes. “The reality, however, is that Defendants are involved in every aspect of the operation.”
Il punto è che se questa decisione dovesse valere per tutti gli autisti di Uber, la piattaforma si troverebbe nei guai grossi. La sua struttura si basa sull’assunzione che il suo compito è soltanto quello di mettere in relazione la domanda e l’offerta. Ma in realtà impone regole molto strette al comportamento degli autisti e se questi non le seguono li espelle dalla piattaforma. Per questo la Commissione non ha considerato valida l’idea che gli autisti siano davvero indipendenti professionisti.
Ma ci sono molte piattaforme che fanno un po’ la stessa cosa in altri mercati. E d’altra parte se non mettessero regole al comportamento dei venditori, i compratori avrebbero meno motivi per fidarsi e per gradire il servizio. La decisione Californiana potrebbe avere conseguenze enormi: perché potrebbe mettere in discussione le fondamenta di molti marketplace online.
Articoli come questo mi lasciano perplesso. Da una parte l’autore del sito lancia spesso provocazioni interessanti e parla coscientemente d’innovazione, dall’altra spesso sembra accogliere ogni tentativo di regolamentazione delle nuove tecnologie come una possibile apocalisse. È vero che le regole possono ostacolare lo sviluppo di un mercato, ma è anche vero che superata la frase di crescita incontrollata possono aiutare a portare ordine e stabilità, fondamentali per l’inserimento di ogni novità nella vita stabile di una società.
In particolare, in questo caso, mi pare che la decisione sia sensata, vista il controllo pressoché totale che Uber esercita sui propri autisti, che è diverso, per esempio, da ciò che Amazon richiede a scrittori ed editori per usare il servizio Kindle Direct Publishing. Un esempio su tutti: KDP richiede sostanzialmente il rispetto di pratiche formali[1], mentre Uber richiede il sostenimento di costi e pratiche specifiche[2] che controllano ogni aspetto del lavoro dell’autista. Uber pretende la stessa ubbidienza totale che un’azienda richiede ai propri dipendenti, l’unica cosa che non fa è pagarne i costi.
Qualcuno potrebbe dire: “scemi gli autisti”, sono loro che decidono di lavorare per Uber, ma con questa attitudine avremmo ancora i bambini dodicenni a lavorare nelle miniere di carbone.
[1] cose come formati, veridicità delle informazioni, etc
[2] come le assicurazioni
grazie del commento! mi spiace dell’impressione che ha generato il post… non mi pare di aver parlato di apocalisse, ma solo di guai grossi per Uber e per altre piattaforme simili… sono solo fatti che avvengono e possibili conseguenze… le regole sono fondamentali per avere un mercato e non una jungla
Grazie per il chiarimento. Possibilissimo che io abbia frainteso, infatti ho usato termini come “perplesso” e “sembra”, e pensavo fosse chiaro che ho usato la parola “apocalisse” come iperbole. Ma devo dire che questo articolo unito ad altri che ha fatto, ad esempio “La risposta intelligente dei taxi a Uber”, mi hanno dato l’impressione che sostenga unicamente come la soluzione a tutti problemi creati dalle innovazioni tecnologiche sia ulteriore innovazione tecnologica, mentre una risposta legislativa non sia mai davvero legittima e/o intelligente.
In seconco luogo, capisco che la sua non fosse un’analisi quanto un semplice commento ad una notizia, però volevo far notare che secondo me anche se Uber capitolasse non credo ci sarebbero “conseguenze enormi”, per via della specificità delle richieste di Uber. Marketplace come Fiverr e TaskRabbit sarebbero al sicuro, solo Airbnb potrebbe, forse, avere problemi.