Fabio Chiusi ha riportato su TechPresident un buon racconto della costruzione della bozza di Dichiarazione dei diritti in internet messa in consultazione dalla Commissione di studio che si è riunita nei mesi scorsi alla Camera dei Deputati italiana.
Antonio Casilli ha pubblicato su Medium un articolo con quattro tesi sulla sorveglianza di massa e la negoziazione della privacy. La sua idea di partenza è che dalla sorveglianza del Big Brother si è passati alla sorveglianza del Big Other: una sorveglianza partecipata, realizzata con il contributo relativamente consapevole di un’enorme quantità di persone attive in rete.
We should not see the fact that citizens contribute to these social platforms as a symptom of technological illiteracy or ideological adherence. On the contrary, it should be viewed as a sign that their streams of communication are presently captured by a participatory architecture that uses traces of online presence to personalize usage and record data transfers in digital environments. The order of priorities between protecting privacy and personalizing digital user experience therefore seems reversed in the face of these traces, whose durability and secondary uses (for both commercial and securitarian purposes) are lost on users.
Un approccio ideologico tenta di cogliere in questo fenomeno la fine della privacy come norma sociale. È una trappola secondo Casilli. E la raltà è che l’esigenza di privacy genera un dibattito sempre più partecipato in rete, nonostante che gli utenti delle piattaforme non si astengano dall’usarle per l’evidente valore che vi riconoscono. E forse anche per una sorta di obbligo sociale.
In effetti, non manca chi ritenga che alcune piattaforme online sono sempre meno una libera scelta e sempre più una sorta di obbligo sociale. Secondo uno studio pubblicato su FirstMonday da Jessica Roberts e Michael Koliska, intitolato “The effects of ambient media: What unplugging reveals about being plugged in”. Roberts, che lavora alla Xi’an Jiaotong–Liverpool University in Suzhou, in Cina, e Koliska, che studia alla University of Maryland’s Philip Merrill College of Journalism, hanno sottoposto a test un gruppo di giovani, privandoli dei collegamenti online per un certo periodo e analizzandone le reazioni. «Il tema più frequente raccontato dai ragazzi è stata una sorta di dipendenza dai media, seguito da sentimenti di ansia causata dall’essere sconnessi. Il terzo argomento più frequente era il sollievo dalla necessità di consumare media. Seguivano problematiche relative alla confusione e all’isolamento: gli studenti denunciavano una deprivazione dovuta alla mancanza di informazioni su quello che stava succedendo ai loro circoli sociali diretti e al mondo. Una sorta di nostalgia per le comunicazioni con i genitori, amici e altre persone significative per la loro vita». Di fronte a un bisogno tanto sentito di connessione, certo, è forte la tentazione di accettare che qualcuno possa abusare dei dati personali.
In ogni caso, il ragionamento di Casilli tende verso la proposta di un nuovo equilibrio dei poteri come percorso per una nuova definizione operativa e realizzabile della privacy con il giusto coinvolgimento di molteplici stakeholder.
Stakeholders seek a consonance, compare their different interests and make mutual concessions in terms of disclosure and access to potentially sensitive information. The loss of privacy in certain areas is not equivalent to an uncontrolled debacle, but rather to a strategic withdrawal over subjects where negotiation proves challenging. It is through this collaborative disclosure accompanied by complex processes of selection and influence, that participatory surveillance is made possible — and can eventually be surpassed. From a citizen’s standpoint, mass surveillance programs cannot be countered by asserting an individual right to privacy as a sphere that resists all penetration, but rather by re-establishing a balance between the forces involved in this negotiation process – governments, market stakeholders and individuals.
Il percorso è condotto dunque in un quadro interpretativo che direi di tipo “costituzionale”. Coerente in fondo con il tentativo della bozza di Dichiarazione italiana. Che è pervasa da forma speciale di tensione utopistica che accompagna sempre i discorsi sui diritti, una forma di utopia pragmatica che riconosce il senso profondamente culturale dell’utopia che nel presentarsi come programma di organizzazione politica intende soprattutto accelerare il dinamismo intellettuale che serve a diffondere nuova consapevolezza, precondizione essenziale – anche se ovviamente non sufficiente – per migliorare la politica.
[…] Luca De Biase (blog) – “Tre letture accurate sui diritti delle persone nell’era di Internet” […]