Ci vuole equilibrio. Il terribile 36% di disoccupazione giovanile non si risolve con una ricetta facile. Chi la propone è un apprendista stregone. O un vero e proprio imbroglione. Ma è chiaro che il tema si affronta cercando di capire, a fronte delle strade che si chiudono, quali sono le strade che si aprono. Sicché molti pensano alla soluzione più radicale e promettente: se la grande impresa non assume, se lo stato non assume, i giovani si dovranno mettere in proprio. Già. Ma…
Come stanno le cose? Al termine del corso di quest’anno allo Iulm, si parlava delle possibilità che si aprono per i ragazzi nello spazio delle iniziative culturali con i media digitali. L’attrazione del tema è grande, ma sulle modalità ci sono molte domande. Chi assume? Come si fa a non restare nella trappola della precarietà? Che cosa si deve studiare per farcela?
Rispondere a queste domande con un’altra domanda appariva fin troppo facile. Ma voi sareste interessati a fondare un’impresa? Era la domanda sbagliata. Perché detta così, la prospettiva spaventava un po’. Negli occhi di tanti di quei ragazzi si vedeva aprirsi un vuoto, una voragine di incertezze.
Certo, per quelli che hanno i genitori imprenditori è più facile capire di che cosa di tratta. E si scopre che tra loro, non tutti vogliono seguire la stessa strada. Altri, la maggior parte, si domandano come si fa: bilanci, tasse, contabilità; e poi come si vende, che cosa si produce, con chi ci si associa?
Hanno ragione. Parliamo molto di startup come una – importante – delle tante soluzioni per favorire la crescita, la produttività e l’occupazione. Ma si può fare molto di più per chiarire di che cosa stiamo parlando. Si può rendere tutto più facile spiegando meglio le opportunità, facilitando le condizioni burocratiche, fiscali e amministrative, e mostrando l’esempio dei ragazzi che hanno seguito quella strada. Ma per trasformare le storie di successo e le esperienze concrete che qualcuno ha sviluppato in una prospettiva che le singole persone non vedano solo come uno spettacolo da applaudire ma come una pratica soluzione da applicare alla loro vita occorre qualcosa di più. E questo qualcosa di più non è un’ideologia dell’imprenditorialità, del rischio, della competizione.
Non tutti sono potenziali imprenditori. Ma qualcuno è allontanato da questa ipotesi proprio dall’ideologia secondo la quale gli imprenditori “amano” il rischio. In realtà, nessuno ama il rischio, neppure gli imprenditori. Tutti – a partire dagli imprenditori – cercano di ridurre il rischio, mettendo in campo risorse, visione, esperienza. Del resto, il rischio esiste – e in questo periodo tra l’altro cresce – anche per chi non fa l’imprenditore. Il precariato, appunto, è proprio la condizione di avere un lavoro che rischia di non durare. E in un certo senso, l’associazione di giovani professionisti in strutture che trasformano in impresa il lavoro che attualmente è precario è un modo per ridurre il rischio: insomma, in questo senso, l’impresa non si fa per “amore del rischio” ma proprio per ridurre il rischio.
Un intero ecosistema si deve prefigurare per servire alla crescita di queste possibilità e a spiegarle nella loro concretezza. E il lavoro della task force del Governo in materia, con il supporto di ItaliaStartup, non potrà sortire soltanto una nuova legge, dovrà pensarsi con molta attenzione anche come una forma di concreta e significativa narrazione.
Abbiamo bisogno di un insieme di sorgenti di ispirazione e di porte concrete che si possono aprire.
Sapendo che, anche dopo che tutto questo sia fatto, non tutto sarà risolto dai nuovi imprenditori. Non tutti sono futuri imprenditori, va detto e chiarito. Molti si sentono collaboratori, professionisti, artigiani, intellettuali… È sano e giusto far sentire tutti orgogliosi della strada che hanno scelto e sentono come propria, se si impegnano. Ma un fatto è certo: se ci sono più imprenditori, ci sono più opportunità di occupazione, di innovazione, di creazione di risorse. Pensare l’ecosistema non è facile, quando si cercano ricette facili, ideologiche, da portare avanti nello stile degli slogan. Ma la nostra vita è più ampia e non si fa imbrigliare negli slogan.
Vedi anche:
Quegli 80mila ragazzi che cercano
Certo che c’entra il marketing
Una prospettiva si vede se si è preparati a vederla
A questo proposito ci sarà un interessante dibattito venerdì 11 sia all’università degli studi di salerno (ore 11) sia a napoli, stazione marittima (ore 14) con due grandi ospiti che parleranno di startup e social innovation: alex giordano e ben casnocha (qui tutte le notizie: http://www.societing.org/2012/05/casnocha-da-salerno-a-napoli/)
Saluti, Spero di conoscerla di persona!
E’ vero, hai ragione. Purtroppo però è anche o forse soprattutto una questione di “carattere”. Molte volte è forte e cinico dirlo ma è una realtà, ed in un contesto come l’Italia questo aspetto viene ancora più fuori, essendoci barriere da tutte le parti, burocratiche, concettuali, infrastrutturali. Quello che forse però può esser fatto è spiegare alle nuove generazioni, ancorché “native digitali”, è che in questo momento storico siamo troppi in pochi posti, con enormi bisogni da voler soddisfare, poco disponibili al sacrificio e molto legati a tutto ciò che siamo e abbiamo. Tutto ciò va messo in discussione e fatto capire a chiare note.
Quando compariranno VC disposti a investire milioni di euro a fondo perduto in idee compariranno anche le startup, fino a quel momento ci saranno solo “discussioni”.
Ciao Luca,
se permetti vorrei segnalare a te e agli interessati, il Google Hangout #startuponair che sto organizzando per condividere le esperienze di alcune startup italiane http://bit.ly/KaIoYg
Il tuo sostegno ed eventuale partecipazione sarebbero un onore oltre che un piacere.
“Certo, per quelli che hanno i genitori imprenditori è più facile capire di che cosa di tratta. E si scopre che tra loro, non tutti vogliono seguire la stessa strada. Altri, la maggior parte, si domandano come si fa: bilanci, tasse, contabilità; e poi come si vende, che cosa si produce, con chi ci si associa?”
E quanti ce ne sono di figli di imprenditori in costante crisi esistenziale. Bisogna vincere, in tal senso, in questo periodo, due crisi. E se ognuno non fosse un pò imprenditore di sè stesso innanzitutto, allora nessuno riuscirebbe mai a far fronte a neanche una di queste crisi.
Se posso permettermi, si parla troppo di startup. L’Italia ha uno zoccolo duro, seppur sull’orlo del fallimento, formato da imprese che definire PMI è anche troppo. si tratta di microimprese, tante artigiane, tante a conduzione familiare.
E allora mi chiedo, è un pò che cerco di chiederlo alle istituzioni della mia città, e ora lo chiedo a Lei confidando in un supporto: piuttosto che mettere a disposizione fondi per creare incubatori ed eventi vari, dai quali, su un tot di startup partecipanti, ne resteranno in vita soltanto una piccola percentuale, perchè non si prova a spendere gli stessi fondi per stipendiare stage di questi stessi startupper demotivati, per invogliarli a presentarsi a queste microimprese in crisi, che magari con un pizzico di innovazione, riuscirebbero a venirne fuori a testa alta, con i loro prodotti di qualità, aprendosi ad un mondo (web) e ad un mercato (ecommerce) a loro ancora sconosciuto, magari riuscendo ad assumere, un domani, gli stessi giovani talentuosi che con il loro talento potrebbero RE-STARTARE queste imprese ?
A questo proposito come Seeweb segnaliamo il nostro contribuito con il Contest Cloudseed. Info su:
http://www.scoop.it/t/cloudseed/
Nel nostro piccolo, cerchiamo di fare qualcosa per crescere e – forse – far crescere. Sempre in modo Cloud oriented. Seguiteci! E partecipate.
Oggi è il 25 Agosto. Alzati e cammina !
Lo Scritto di Luca De Biase è del 9 Maggio. L’ultimo post prima del mio è del 16 Maggio. Questo sito è vivo, morto o moribondo ? La rivoluzione italiana ripartirà dal digitale ? Magari. Temo però che ciò che manca siano le idee concrete e queste mancano perché il sistema educativo italiano ha abituato i giovani e i meno giovani a non averne o diffidarne. Dunque ben vengano gli strumenti di startup, ma nulla si muoverà senza lo studio, le idee e prima ancora di esse, l’accettazione di un concetto base: l’entusiasmo e la fatica vanno di pari passo.
tempo fa ho incrociato e salvato questo articolo, senza dargli un valore assoluto, trovo ci siano spunti interessanti
http://www.nytimes.com/2011/05/31/opinion/31brooks.html
Intanto inizierei dalla lingua. Siamo in Italia? Allora parliamo di IMPRESA e non di startup. Poi, cosa serve realmente?
– azzerare la burocrazia
– diminuire la pressione fiscale
– FARE CULTURA D’IMPRESA
Tutto l’opposto di ciò che viene fatto da sempre dai nostri governanti. Il resto, le… “task force”, sono solo fumo negli occhi.
Generazioni allevate con il concetto del “posto fisso in banca” non si improvvisano imprenditori dall’oggi al domani. Specie se lo stato invece di aiutarti fa di tutto per metterti i bastoni tra le ruote.
Ho l’impressione che lo Stato italiano non sia favorevole alla libera iniziativa, soprattutto individuale, se non a parole. C’è la tendenza a preferire un popolo assoggettato a un potere, e chi cerca o ha un lavoro dipendente deve fare molta più attenzione a esprimere pubblicamente le proprie opinioni. Se si pensa che le aziende prima di assumere spiano nei social… Questo spiegherebbe anche l’assenza totale di tutele nei confronti di chi lavora in proprio: nessun diritto alla maternità, se ci si ammala si può crepare e finire in mezzo alla strada. E le tasse, la burocrazia, l’impossibilità di assumere senza venire dissanguati, sembrano paletti messi apposta per ostacolare chi prova a farsi da solo. Sono solo considerazioni buttate giù in modo superficiale, ma, in effetti, una persona che riesce ad aver successo e guadagnare senza avere dei capi a cui rendere conto, è una persona libera, e può dar fastidio.