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Il bollino di Timu non è blu

Se una persona scrive qualcosa su un blog può anche voler concedere agli altri la possibilità di riutilizzare la sua opera. Per questo mette uno dei possibili bollini di creative commons. È un gesto di generosità nei confronti dei suoi lettori.

Se una persona vuole fare informazione in rete può voler dichiarare che intende anche verificare le fonti, tentare di dare notizie accurate e complete per quanto possibile, dichiarare in modo trasparente i suoi eventuali conflitti d’interesse, rispettare la legge. Per questo mette il bollino di Timu. È un altro gesto di generosità nei confronti dei suoi lettori.

Nessuno è obbligato a fare uno di quei gesti. Ma indubbiamente compiere uno di quei gesti ha un significato nei confronti degli altri. È una gentilezza. E qualifica il senso di responsabilità di chi lo compie.

La rete è un territorio aperto nel quale ciascuno può scegliere come comportarsi, quale attività svolgere, che senso dare alle sue azioni. E molto del valore che genera dipende da come gli altri lo comprendono. Dire che cosa si vuole fare rende tutto più semplice.

Un bel pezzo del Fatto ne ha parlato scegliendo un titolo simpaticamente ambiguo. Blogger sì, ma con il “bollino blu”. Qualcuno ha forse pensato alla pubblicità di una banana che un bollino blu certificava come qualitativamente buona. Ma il bollino di Timu non è blu, come chiunque può vedere anche in fondo a destra in questo blog. Soprattutto, a parte gli scherzi, non è una certificazione. È una scelta personale: chi la adotta semplicemente dice di voler seguire un metodo trasparente quando fa informazione.

Per la verità, ce ne sarebbe bisogno.

Abbiamo vissuto trent’anni di demolizione del metodo che distingue l’informazione verificata e documentata dalla comunicazione ideologica, manipolatoria e strumentale. Una delle forme di ribellione che si potrebbe sperare si diffonda è proprio la ribellione nei confronti dell’uso strumentale dell’informazione.

Diffondere la consapevolezza che l’informazione è frutto di una ricerca condotta con un metodo documentato e trasparente, può contribuire a ricostruire un terreno culturale comune nel quale si può condividere il giudizio su quali siano le notizie verificate e quali invece siano solo parte di una messaggistica interessata. Sarebbe un passo avanti nella convivenza civile. Per arrivarci, possiamo dare una mano anche a partire da alcune piccole cose che facciamo in rete.

(Timu è una parola swahili che vuol dire squadra. Un metodo comune può essere utile per fare squadra).

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  • Personalmente ho svolto l’attività di recensore su una testata online abbastanza conosciuta nella ristretta cerchia degli appassionati di hardware informatico. In un tempo relativamente breve ho prodotto molto ed ho in mente abbastanza chiaramente cosa voglia dire qualità in questo settore.
    E i punti di responsabilità che vengono riconosciuti dal Timu fanno parte del mio background personale. Vorrei presto lanciare un sito con altri ragazzi, a cavallo fra un blog e un magazine, ed i miei “valori editoriali” collimano perfettamente.
    Mi chiedo se serva veramente un bollino per far riconoscere all’utente della “buona informazione” e quanto possa valere un simbolo che attesti dei principi che difficilmente possono essere verificati salvo casi macroscopici.
    Non so, le premesse sono belle ma non mi sembra davvero un regalo ai lettori. Il tutto si può fare alla vecchia maniera, rendendo pubblico chi scrive, le esperienze che ha avuto, non cancellando le smentite e via dicendo tutte le regole di buona informazione online che i portali internazionali più accreditati hanno applicato nel tempo.
    Una cosa che non vedo in italia è l’uso del barrato. Se parliamo di un errore di battitura non c’è bisogno che il mondo sia al corrente che abbiamo sbagliato ma quando parliamo di una dichiarazione errata sarebbe corretto non nascondersi. Tutti sbagliano, anche i giornalisti e sono sicuro che non devo spiegarlo a lei data la sua esperienza.
    Insomma Timu mi convince relativamente. E’ un simbolo, in genere mi piacciono poco. Non basta a rendere migliori i contenuti e spesso neanche l’intenzioni bastano ma sono necessarie esperienza e preparazione.
    Credo che la crescita di contenuti online porti le persone a sviluppare filtri per distinguere le “bullshits” dalle perle. Non credo che Timu migliori questo processo.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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