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Sull’Economist: l’Italia che (non) governa e gli italiani che innovano

Sull’Economist di questa settimana i nomi italiani abbondano.

Quelli che riguardano la politica, salvo qualche rara eccezione, sono trattati come al solito. Incapaci di decidere, orientati a rovinare l’Italia, conservatori della specie peggiore: quella che conserva il peggio.

Quelli che innovano, si trovano nel Technology Quarterly: sono stranamente numerosi e fanno tutt’altra figura. C’è Mario Ploner, della Tecnomeccanica Biellese, che racconta di una tecnologia per raccogliere il petrolio che finisce in mare, basata sulle proprietà della lana. C’è Giancarlo Galli, dell’università di Pisa, citato in un articolo sulle tecnologia per l’efficienza delle navi, che usa dei polimeri capaci di attrarre l’acqua da un lato e respingerla dall’altro. C’è Alessandro Bottaro, dell’università di Genova, citato in un articolo sulla tecnologia del volo per aver sviluppato un materiale che ha caratteristiche simili a quelle delle più piccole piume degli uccelli.

Poi c’è Antonio Spadaro, citato dall’Economist per il suo articolo sulla Civiltà Cattolica che ipotizza una relazione tra l’etica hacker e la visione cristiana. Viene segnalata anche l’iniziativa di Marco Fioretti e del suo gruppo che si occupa di incoraggiare la chiesa cattolica ad adottare il software open souce.

Non sono sicuro che non ci siano altri italiani nel Technology Quarterly. Da un lato perché non so se Luana Iorio che lavora alla Ge e ha studiano negli Stati Uniti sia italiana, anche se il nome lo lascia sospettare. E dall’altro lato perché non ho letto l’Economist, l’ho ascoltato nella fantastica versione audio per il cellulare, guidando: il fatto è che la pronuncia dei nomi italiani dei peraltro ottimi speaker è un po’ dubbia. Bailise e Ciaivilta – al posto di Biellese e Civiltà – le ho decodificate non so se ci sono riuscito in tutti i casi.

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  • Bello questo post!
    Per quanto riguarda l’etica hacker non mi pronuncio, ma l’invito alla Chiesa è interessante e fondato, ma in realtà andrebbe rivolto alle singole parrocchie, e avrà successo solo se i giovani delle varie comunità avranno la determinazione e le competenze per scegliere l’open source.

  • Ridere o piangere ?
    Voglio dire, da una parte è molto positivo che l’Economist dia spazio ai successi degli italiani che innovano, dall’altra è molto triste che io – italiano – sia costretto a comprare un settimanale straniero per esserne informato.
    Non me la sto prendendo con i giornalisti italiani, bensì con una mentalità provinciale tutta nostrana, che ostacola la valorizzazione di ciò che di buono facciamo.
    Esempio banale banale: la cucina italiana è la migliore del mondo (sfido chiunque ad affermare il contrario), ma il cuoco che la valorizza di più si chiama Jamie Oliver ed è inglese (inglese !).
    Per quanto riguarda le tecnologie, il microprocessore e la SIM del nostro cellulare sono idee italiane.
    Quanti lo sanno ?

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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