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Editori, tecnologia e pirati – AGCOM e la giusta misura

E dunque sappiamo che l’effetto economico complessivo della pirateria non si riesce a misurare. Esistono migliaia di studi in proposito, ma gli studi davvero indipendenti dalle major e dagli editori non sono molti. Come si diceva il GAO dice che è impossibile sapere qual è la somma algebrica tra i pro e i contro per l’economia.

Quello che sappiamo è che la tecnologia ha spiazzato gli editori tradizionali. Ha reso possibile lo scambio gratuito di contenuti. E ha creato un nuovo settore della pirateria: prima era basata sulla copia di cd falsi, ora va online alla velocità della rete.

I pirati sono quelli che fanno commercio di materiale sotto copyright altrui; e comunque sono la preoccupazione dichiarata delle associazioni come la FIMI: “Non si sta parlando di comprimere le libertà digitali. Qui lo snodo è
bloccare l’illegalità diffusa ed aiutare il mercato legittimo. Inibire
quindi quelle (poche) piattaforme web palesemente pirata. Non blog,
forum, motori di ricerca, siti personali e quant’altro. Ma pirate-bay,
btjunkie, dduniverse, roja-directa, ecc!!”

Ma a livello macro, la tecnologia ha spiazzato gli editori tradizionali anche senza l’illegalità. Questi editori stanno perdendo la competizione per il controllo del mercato anche contro le piattaforme tecnologiche perfettamente legali, come Apple, Google e Amazon.

Gli editori tradizionali avevano due grandi colonne: il controllo della tecnologia e il controllo degli autori. Il primo era definito dalla struttura analogica della tecnologia. Il secondo era definito dal copyright. Perdendo per una parte importante il controllo della tecnologia, gli editori si sono trovati schiacciati nella funzione di gestori dei diritti d’autore. E hanno cominciato ad abbarbicarsi su questo punto di forza in modo sempre più agitato.

Il fatto è che alcuni autori hanno preso la strada di andare direttamente alla tecnologia per la distribuzione e il modello di business. John Locke e la Rowling hanno recentemente dimostrato che sulle nuove piattaforme si possono vendere contenuti anche indipendentemente dagli editori. John Locke ha venduto un milione di copie del suo libretto per ereader che è riuscito a far conoscere usando bene i social network. La Rowling, già uberfamosa, è riuscita a sfruttare da sola i diritti digitali creando Pottermore.

Se andasse avanti così, gli editori rischierebbero di perdere sia la tecnologia che gli autori. Non è corretto proiettare il presente sul futuro. Ma di certo qualche segnale tutto questo lo offre.

La risposta non può essere soltanto quella di combattere per lasciare tutto come sta. Non può essere tutta legata ai tribunali, alle lobby e alle decisioni che rischiano di frenare lo sviluppo della rete.

La risposta è in un mix di innovazione tecnologica e innovazione nella gestione degli autori. Non si può fermare la tecnologia, ma si può innovare alla velocità della tecnologia. E non si vede perché anche gli editori non possano farlo. Non basta. Gli editori possono innovare anche nella gestione degli autori: dando loro di più per non lasciarli andare da soli alla ricerca del loro personale mercato.

Il caso Sony è interessante. Lavora sia nella tecnologia che nella produzione di contenuti. Non è riuscita a imporre le sue innovazioni tecnologiche e questo è un bel problema per gli altri editori che hanno una vocazione ancora meno tecnologica della sua. Ma non ha pensato di cambiare il sistema di gestione degli autori. O meglio, lo aveva fatto con i produttori di videogiochi all’epoca in cui la sua PlayStation superava la Nintendo: ma non ha generalizzato l’esperienza.

Si possono pensare diverse innovazioni in proposito. Autori più liberi, idee di marketing rinnovate, attenzione alle performance fisiche oltre che alla riproduzione dei contenuti, maggiore attenzione alla qualità, formati innovativi: già oggi si vede molto di tutto questo. Perché non dovrebbero riuscire anche gli editori ha cambiare le loro abitudini? Per la verità, ci devono riscire. Altrimenti sono strategicamente in difficoltà.

Se le autorità non vogliono semplicemente frenare l’innovazione in nome di norme legate a condizioni tecnologiche un po’ superate, se vogliono salvaguardare i giusti diritti di tutti gli interessati al mondo dell’editoria (editori, pubblico, autori, ecc), se vogliono guidare senza essere determinate dall’urgenza, devono trovare la giusta misura. L’AGCOM in particolare è chiamata a farlo. Dopodomani.

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  • Tutto giusto solo che a volte si preferisce la scorciatoia ampia, fare un regolamento che ti permette tutto per poi lasciare alla discrezionalità l’applicazione. Selezionare comporta impegno, fisico, mentale e economico. E competenze, che allo stato attuale mi pare che all’AGCOM manchino a favore della solita invasione politica

  • L’articolo è perfetto. Manca solo una precisazione dovuta. L’AGCOM agisce solo su indicazioni di UNO. Non bastava la RAI di UNO, i Giornali di UNO, Mediaset di UNO, le Leggi di UNO e per UNO. L’AGCOM intende mettere il bavaglio al Web 2.0. Su espressa richiesta di UNO dopo le ultime elezioni che hanno visto la Rete prevalere sui mezzi di UNO. Le Cariatidi, pur di restare con le poltrone incollate al sedere, sarebbero capaci di azzerare la Rete. E’ solo una copertura il famigerato ” copyright “. Non altro. Ci stupisce che uno come lei ( intelligente ) si presti a dare una giustificazione a Calabrò. Servo di Uno come tanti altri lanzichenecchi che operano al soldo e al comando del Padrone UNO.
    Cordialità. Giuseppe Ricciutelli

  • Caro Giuseppe Ricciutelli: la inviterei, se ha tempo, a dare un’occhiata al post precedente. E’ in inglese perché ho visto che non c’era molta copertura sulla stampa straniera del fatto di cui stiamo discutendo. Ma come vedrà, in quel post di ieri, si collega il problema affrontato dall’Agcom con il sistema dei media italiano e con le sue vistose anomalie. Saluti!

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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