Home » visioni » Emergenza del racconto
visioni

Emergenza del racconto

Appunti su Venice Sessions. Mi scuso: sono proprio appunti presi al volo.

Nell’era della complessità, la storia non è lineare come all’epoca dell’industrializzazione. Ma anche oggi c’è bisogno di racconto: per conoscere, per conoscersi, per sincronizzare le vite degli individui… Il problema è che molti racconti recenti, dal consumismo alla finanziarizzazione, appaiono vagamente virtuali, incredibili, non corrispondenti alla realtà. Dai racconti degli innovatori che li sanno condividere, può sgorgare il materiale dal quale può emergere la capacità sociale di ricominciare a raccontarsi.

Non sono i giornalisti che devono raccontare le storie. Il loro imprinting professionale è quello della spersonalizzazione. Forse questo è in via di correzione. I blog lo insegnano. Ma intanto i giornalisti possono mettersi al servizio di coloro che sono protagonisti di storie importanti per aiutarli a raccontarle se occorre.

Sono i protagonisti che devono volerle raccontare. Sperando che credano fino in fondo che sono importanti, che trovino un modo per capire che è importante raccontarle, anche se non devono andare in borsa o se non si sentono di esprimere la propria biografia.

In realtà, il racconto di ciascuno costruisce networking e abilita l’emergere di un discorso comune nell’epoca della complessità.

Quanto ci crediamo alle storie italiane?

Eppure ce ne sono di storie italiane. Franco Bernabè, una biografia intorno all’idea di portare in Italia la public company e ridurre il peso della politica nell’economia. L’Arduino di Massimo Banzi è una storia che risponde alla speranza che sia vera. E qui in sala ce ne sono di storie… 

Federico Di Chio, perché ci sono storie che non sappiamo raccontarci? Il racconto è un’esperienza guidata di senso. Non solo i film e i telefilm assomigliano alla vita: ma soprattutto la vita assomiglia ai film e ai telefilm. Il senso è fare un grande montaggio della vita. Le storie degli altri sono molto importanti per noi: abbiamo bisogno di rispecchiarci negli altri per conoscere noi stessi. In questo “metabolismo simbolico” la vicenda non è schematica come dice Salmon: è schematico dire che la narrazione è diventata la tecnica dell’ammaestramento negli anni Novanta e che è diventata la forza dell’impero; forse non lo capisco perché mi sento un funzionario dell’impero; forse perché non capisco che le narrazioni pensate dal marketing siano di per sé manipolatorie e ingiuste, perché penso che siamo anche quello che consumiamo.

Andrea Pontremoli, l’Italia è stata maestra nel racconto di storie. Mio padre mi ha insegnato che una storia può cominciare anche quando hai perso tutto. E mi ha avviato alla vita dicendo: “Io ho fiducia in te”. E nel mulino dove ho passato l’infanzia ho imparato l’umiltà, come ascoltare il matto: “Tirava una corda dove non c’era attaccato niente. Noi lo prendevamo in giro. Lui disse beh provate a spingerla…; già ti ricordi chi ti trascina, non ci ti spinge…”. Seguire le passioni: sogno, forza, disordine “Come diceva una scritta che ho visto sotto un monumento a Colombo: ha raccontato una storia, ma in fondo si era perso”. Il racconto di Bardi e della Dallara. E ora? La crisi ti forza a pensare. Strategia non è pensare alle decisioni che prenderai domani: è prendere decisioni oggi che influenzeranno il nostro domani.

Ilaria Capua, l’influenza aviaria, l’allarme. Mi ricordo quando se ne parlava e mi dicevo: “questi sono tutti matti. Qui è pierino e il lupo”.  L’aviaria si è trasformata in una leggenda metropolitana. Ma resta un virus terribile. Insomma, c’è stata una pandemia mediatica. E la malattia continua a infettare gli animali. E a ucciderne milioni. Quindi uccide le proteine nobili dei paesi in via di sviluppo. Pensavo fosse ovvio quello che ho fatto…

Maria Luisa Lavitrano, stupire non è facile con le persone smaliziate. La rete ha condizionato enormemente la medicina. Perché ha reso possibile la condivisione immediata di quello che scopriviamo. Moltiplicando la massa critica di lavoro intorno a un problema, rendendo tutta la ricerca più veloce. La scoperta, che contraddice la teoria darwiniana, dell’impermeabilità dei gameti: la difficoltà di provarla contro ogni pregiudizio. Ma spiegava alcune mutazioni che non si spiegavano in altro modo. La modificazione genetica di animali. Il cuore di maiale modificato che si lascia attivare dal sangue umano.

Maurizio Ferraris, previsioni che non si sono avverate. Nell’astronave di Odissea nello spazio non ci sono personal computer. Il computer non scriveva, parlava. Si pensava alla fine della scrittura. Una società in cui si parla soltanto e non si registra non può essere una società. Invece, come prevedeva Derrida c’è un’esplosione della scrittura. E poi si pensava che sarebbe scomparsa la carta. E invece non è accaduto. Nulla di sociale esiste fuori dal testo. Anche nel telefonino la funzione del parlare diventa meno importante dello scrivere.  Non è un fatto accidentale: siamo circondati da oggetti sociali che non esistono se non sono registrati e, spesso, scritto.

Stefano Moriggi, imparare a cancellare… Ogni scrittura è una riscrittura, un’approssimazione, una costruzione di modelli. La tecnologia aiuta in questa perenne riscrittura. La riscrittura è una forma di comprensione, nella forma di simulazione. La storia della tecnologia è la storia di una progressiva emancipazione. Certo, nel quadro di una grande continuità. Siamo la costante reinvenzione delle nostre invenzioni. Ma alcuni fatti sono decisivi. Il pollice opponibile ha fatto diventare oggetti le cose intorno all’uomo. La scrittura ha cambiato definitivamente il ragionamento. E infatti Platone la usa però restando sulla forma del dialogo quasi per ridurne la portata. Narrazione del futuro come profonda riscrittura delle nostre capacità di pensare.

Goffredo Haus, ho cominciato costruendo una chitarra… Ho passato la vita a studiare le tecnologie del trattamento dell’informazione musicale. Per capire la musica. E per crearla. Ho creato uno strumento per separare ogni informazione musicale e renderla fruibile in modo completamente nuovo. Posso immaginare che i materiali musicali siano in rete e che la questione dei diritti sia risolta: la musica cambierà profondamente…

Giorgio Barberio Corsetti, regista di teatro, arte antica quanto la città, viaggio nel tempo… Compete a me rivendicare il silenzio. Rivendico la parola poetica. Che si può incarnare nel presente e trasmettere un’esperienza. Il progresso, il mito, gli eroi dell’innovazione e della scienza. In una società che rinuncia ai simboli che parlano dei segreti più terribili e di ciò di cui non si può parlare. E penso alla televisione. Il luogo è fondamentale, il luogo fisico, la presenza. Esigenza del segreto che c’è nella presenza e che solo la presenza può rivelare.

Luca Mastrantonio, il racconto è un presente, vale Agostino. Abbiamo un futuro alle nostre spalle, con data di scadenza. In Italia ci è difficile liberarci dal passato, altro che parlare del futuro. Non parlare del futuro, parlare per il futuro.

Alessandro Baricco, riassunto. Salmon dice una cosa che è largamente condivisa da tutti qui: se dobbiamo guardare al presente oggi accade uno scontro tra narrazioni. E collettivamente si aderisce a una narrazione oppure a un’altra. E nel momento in cui aderiamo alla narrazione che dice “scoppierà una guerra”, allora in effetti scoppia una guerra. Ma attenzione: i rischi di questo sistema sono enormi. Quando optiamo per una narrazione optiamo per la velocità e contro la complessità. Perdiamo un reale dominio della complessità del reale. I racconti sono sintesi messi in linea: la narrazione è lineare e sintetizza una complessità. Perché operiamo questa semplificazione? Per masochismo, per pigrizia? Scoprire qual è la domanda rispetto a una risposta data è la prima cellula della narrazione. Senza la domanda tutto è dato. Dunque inamovibile. La narrazione è prima di tutto il bisogno di scoprire il perché, di dare un senso a quello che accade. Bene: oggi sappiamo che la narrazione è importante e come dice Salmon è proprio con la narrazione che decidiamo. Non è che con questo abbiamo semplificato troppo? Oggi o si litiga o si narra… Possibile che sia tanto difficile ragionare profondamente? Esiste forse una “narrazione buona” e una “narrazione cattiva”. Una narrazione che uccide e una narrazione che fa vivere. Tre cose per chiudere:

1. La reazione alla narrazione più forte è la reazione di Platone all’educazione scolastica del suo tempo. Ma nel contestare la suola basata solo sulla narrazione e proponendo la filosofia come centro dell’educazione, Platone fa proprio narrazione. 

2. Le narrazioni da sempre ci accompagnano. Da sempre hanno questa doppia natura. Il grosso della narrazione pronuncia quello che è. Lo racconta e lo rende usabile. Dall’Odissea… Ma accanto alla narrazione che dice quello che è, c’è la narrazione che sfascia quello che c’è. E molto di quanto è sofisticato è fatto per sfasciare: non vogliono perpetuare il mondo, vogliono rendere inservibile il mondo. Solo i narratori che rendono inservibile il mondo costruiscono il futuro. Gli altri servono per vivere bene. Ma chi spinge oltre è chi non accetta il mondo.

3. La differenza tra le due sta nella voce. Quello che ti colpisce è chi racconta la storia. Lui mentre racconta la storia. Che cosa può incrinare il mondo? Quelle voci che fanno pensare che c’è un mondo del quale ignoravi l’esistenza. Una voce che mostra un mondo che non conoscevo e che non mi spiego. Quello incrina il mondo. Quello lo sfascia. E quello parla del futuro. Quella narrazione dove la voce è forte dobbiamo tenercela bene. Quel che penso si debba fare è che si debba difendere la voce forte. E difendere le altre forme: spiegare, dire… non solo raccontare. Lasciamo spazio alla voce.

Commenta

Clicca qui per inserire un commento

Rispondi a Carta Verde Cancel reply

  • Come sempre, l’intervento di Baricco si segnala per la sua inutilità irritante. Ma forse è solo il riassunto che ne da’ questa impressione errata, forse era semplicemente una stronzata.

  • Ho letto il libro di Salmon un paio di mesi fa ed è stata una lettura interessante ma anche un po’ strana.
    Due cose:
    dalle nostre parti le ‘storie’ sono un genere particolare di menzogne (da distinguere dalle ‘musse’), così che un libro sulla centralità del ‘raccontare storie’ finisce per presentarsi come un’epica della menzogna, dell’inganno e, alla fine, dell’autoinganno;
    il libro di Salmon è uscito in Francia nel 2007 e l’ho letto nel 2009 quando le strategie di storytelling che descrive – economiche, politiche, militari – sono in rovina e del tutto screditate. Al momento dell’uscita il libro era il racconto di un’avanzata inarrestabile; oggi, la premonizione di un disastro.
    Interessante, sì, anche utile ma, malgrado sia passato pochissimo tempo, datato.
    Da discutere se quella che lui descrive sia una fase passeggera o una caratteristica stabile del mondo contemporaneo: vedremo.

  • Ho avuto la possibilità di seguire la Venice Session di ieri. Per gli argomenti di cui mi occupo sul portale ComunicatoriPubblici sono state importanti le riflessioni sulla condivisione della ricerca scientifica nell’intervento di Ilaria Capua e soprattutto il discorso di Salmon. Quest’accezione positiva dello storytelling mi ha colpito. L’inganno può essere anche svelato. Obama è riuscito a farlo. Mi piacerebbe che queste tecniche capaci si smascherare gli intenti manipolatori e retorici fossero utilizzate anche per una comunicazione più limpida dei temi politici, intendo gli argomenti, il cuore delle politiche pubbliche.
    Quindi una comunicazione efficace non solo per la costruzione dell’immagine di un leader ma anche finalizzata a raccontare agli elettori le scelte e i progetti. Magari quelli più delicati, che richiedono comportamenti nuovi in materia di risparmio energetico e mobilità sostenibile. Chiamare in causa i cittadini, quindi, farli dialogare con le istituzioni. Farli… raccontare.
    Per questo mi piace molto dare visibilità ai percorsi partecipativi degli enti pubblici. Soprattutto i più innovativi, quelli che stanno sperimentando il web 2.0 e altre iniziative simili (e se fosse un modo per provare a recuperare un po’ di fiducia nella politica?).
    Questa prospettiva più ‘pubblica’ ho cercato di evidenziarla nel pezzo che ho scritto sulla giornata di ieri: http://www.comunicatoripubblici.it/index.html?id=165&n_art=4485. È il punto di vista di una outsider. Spero sia di interesse.
    Mi piacerebbe continuare a seguire le vostre iniziative e darvi la mia massima disponibilità nel caso vogliate pubblicare degli interventi su Comunicatori. La sensazione è che tutti i presenti avessero molto da raccontare ancora, che non possa uscire tutto in una sola giornata e che anche su Internet ci sia molta voglia di saperne di più di quanto è stato detto. Del resto ciascuno di noi ha potuto estrarre solo una parziale prospettiva dei numerosissimi interventi.
    Cari saluti. A presto.
    Giorgia Iazzetta
    http://www.comunicatoripubblici.it
    info@comunicatoripubblici.it

  • Sarò duro di comprendonio, considero Salmon un tardo epigono di Derrida, a sua volta un tardo epigono di Sartre, a sua volta uno che aveva letto Nietztche da francese e aveva pensato “Cavolo, ma è d’accordo con me!”, però continuo a non capire: mi spiegate quale sarebbe “l’inganno” disvelato dal nuovo Obamessia ? So bene che tanto non ci sarà risposta, perchè chi ne parla non lo sa, e non gli interessa saperlo. Piace solo il suono che fa quando lo dice (citazione del Joker).

  • Confesso di non avere ancora letto il libro, ma questa è l’idea che mi sono fatta dalle parole di Salmon e che cerco di tradurre a modo mio. Spesso la narrazione è ambigua, volutamente criptica. Gioca sulle emozioni e alla fine non è chiara. Bush raccontava le cose alla John Wayne. “Questa è la mia storia, ma solo io ho il diritto di raccontarla. E tu puoi solo starla a sentire.
    Obama dice che fin da ragazzino gli avevano insegnato a dubitare delle storie d’infanzia. Ma al di là degli aneddoti Obama si è raccontato in maniera più trasparente. Esponendosi sul web alle critiche di tutti. Appena eletto, ci sono stati dei dubbi forti che potesse continuare a farlo. Giornalisti scettici si chiedevano come avrebbe fatto a tenere aperti canali web di trasparenza veramente interattivi: le aspettative dopo la campagna elettorale erano elevate. Del resto ci sono mille problemi tecnici e burocratici a tenere viva una Casa Bianca digitale (alcuni li avevo segnalati in questo pezzo http://www.comunicatoripubblici.it/index.html?id=165&n_art=4338).
    Eppure per il momento lo sta facendo. Risponde on line virtualmente alla gente. Magari si stuferà presto. Scopriremo che anche questa è stata una bella storia confezionata ad arte.
    Ma sono convinta che esporsi da parte di una amministrazione è sempre pericoloso. I cittadini sanno metterti in difficoltà. Provare a dare dalle risposte è un cambiamento. È un segno di coraggio. Non idealizziamo, sono d’accordo. Forse Marco ha ragione, c’è troppa retorica sulla figura di Obama (e forse anche nel racconto che ne fa Salmon). Ma vediamo cosa succede. Non critichiamo a priori anche i primi tentativi di amministrare dialogando davvero con i cittadini.

  • Il linguaggio se ha una caratteristica strutturale è la possibilità di mentire. Quando dall’inizio del novecento la filosofia imboccò la svolta linguistica, emerse la verità di fondo, che la verità è una forma di narrazione, tanta è la nostra condizione di dare senso con il linguaggio, essendo gettati nel senso. Credo sia stato Merleau Ponty ha incrinare ogni assunto. Con la sempre maggiore complessità con cui dobbiamo venire a capo, l’unica alternativa è saper narrare un punto di vista sui moltiplici possibili. Detto questo stiamo ammettendo che non c’è più alcuna sponda di salvataggio da invocare per le certezze, dobbiamo costruircele, sapere che da dipende molto più dal credere che dal sapere. E’ tutto molto più seduttivo ma presuppone un forte investimento in fiducia e nella responsabilità delle controparte. Come dire, siamo ritornati alle forme di comunità che sembrano opporsi a quelle impersonali createsi con le società di massa ma senza ribaltarne gli assunti. Tutto riesce a convivere nel racconto che è l’unico collante di fondo. Ma questo racconto è fortemente spostato sui personaggi che sulla storia narrata. Sull’identità piuttosto che delle cose narrate, che possono esser anche banali. Il nuovo must è l’eroe della normalità. Quella normalità che è sempre diversa perché tutta emotiva. Quindi i fatti spariscono e possono esser sempre quelli, basta cambiare timbro e registro. Sarò un pessimista ma siamo ritornati alle questioni di stile e non di contenuti, nudi e crudi, con questa logica testologica.

  • Raccontare le storie delle aziende

    Leggevo la bella intervista ad Alberto Alessi rilasciata al The McKinsey Quarterly a proposito di come l’omonima azienda “coltiva” l’innovazione. Qui solo un passaggio: “The destiny of a company like Alessi is to live as close as possible to the border…

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

Video

Post più letti

Post più condivisi