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Chi si fida degli altri? La cultura dei beni comuni, la razionalità e le piattaforme

Dylan Selterman, Lecturer alla University of Maryland, propone ai suoi studenti un esercizio che viene dalla tradizione della teoria dei giochi e che in qualche modo serve a testare quali percorsi razionali vengono attivati delle persone nei confronti delle decisioni nelle quali viene messo in gioco il bene comune.

In my social psychology class, I pose an extra credit question where students choose between having two points or six points added onto their final term paper grade, with the stipulation that if more than 10% of the class chooses six points, no one gets any points (Qz).

In pratica, se tutti pensano al vantaggio di tutti, allora tutti scelgono i due punti e li ottengono. Se qualcuno cerca di ottenere un vantaggio maggiore, può riuscire o fallire: il risultato dipende da quanti sono come lui. Se sono troppi quelli come lui, fallisce. E se fallisce fa male a sé e a tutti. Selterman dice che (salvo in una sola occasione) le sue classi hanno avuto troppi studenti che hanno scelto di ottenere il massimo vantaggio, causando una perdita per sé e per tutti gli altri. In generale, dice, l’80% sceglie tenendo conto del bene comune e il 20% sceglie per massimizzare il vantaggio personale.

Chi sceglie per il bene di tutti, evidentemente, si fida degli altri e pensa che anche gli altri faranno la scelta dei due punti. E una vasta maggioranza si comporta così. La minoranza evidentemente lo sa e pensa di sfruttare quella fiducia per massimizzare il vantaggio personale e sceglie i sei punti. Ma essendo una minoranza non piccola, finisce per generare il male di tutti.

Selterman dice che questo esercizio è istruttivo e che le persone imparano a comprendere come comportarsi la prossima volta.

Nella vita reale, questo percorso esperienziale però è più complicato di quello che avviene in un laboratorio. Ho l’impressione che un’esperienza negativa per chi si fida degli altri – “mi sono fidato e mi hanno fregato” – possa avvenire velocemente e abbia conseguenze a lungo termine. Mentre il percorso che serve a imparare a fidarsi in un contesto nel quale ci si fida poco degli altri richieda molto tempo.

bici-legateMolto dipende dalla narrazione generale nella quale si è immersi. E la razionalità non ne è immune: anzi, per la verità ho l’impressione si la razionalità sia uno strumento che si applica proprio all’interno di una narrazione che contribuisce a sintetizzare i presupposti operativi nei quali si opera. Se la narrazione generale dichiara che ciascuno massimizza il proprio vantaggio sempre, anche a spese del bene comune, tendenzialmente la razionalità spinge a fidarsi poco degli altri. Se la narrazione generale valorizza il bene comune, la razionalità spingerà a fidarsi degli altri. Il mercato e la concorrenza non sono i luoghi dell’assenza di regole, perché funzionano solo se le persone si fidano le une delle altre: dunque sono anzi i luoghi delle regole talmente condivise per il bene comune che consentono di prevedere che anche gli altri le seguiranno. La razionalità si inserisce in queste narrazioni, non ne è immune. La narrazione basata sull’idea dell’homo oeconomicus in un contesto senza regole genera una razionalità egoista, con predizioni che si autoavverano e che dànno ragione a chi non si fida. La narrazione basata sul bene comune è orientata a valori come giustizia, lealtà, generosità che non sono parte integrante dell’idea di homo oeconomicus ma che rendono possibile il mercato, da una parte, e la gestione efficiente dei beni comuni, dall’altra. Insomma: la razionalità non è pro o contro i beni comuni. La narrazione che una società riesce a coltivare invece lo è. E questa narrazione non è soltanto teorica: anzi, è verificabile giorno dopo giorno sul piano organizzativo.

Anche per questo le piattaforme che regolano la vita sociale ed economica contengono la narrazione che alla fine prevale. Le piattaforme fatte soltanto di competizione per l’attenzione e la notorietà ma che non valorizzano – by design – la collaborazione finiscono per peggiorare e non migliorare la cultura del bene comune. Quando si scrive una piattaforma, quando si scrivono e si fanno valere le regole del mercato, si influenza la narrazione generale che a sua volta definisce la prospettiva razionale nella quale le persone scelgono.

Non è soltanto che bisogna educare le persone all’uso delle piattaforme. È che il design delle piattaforme è un progetto educativo. Imho.

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  • […] Luca De Biase, “Chi si fida degli altri? La cultura dei beni comuni, la razionalità e le piat…: In pratica, se tutti pensano al vantaggio di tutti, allora tutti scelgono i due punti e li ottengono. Se qualcuno cerca di ottenere un vantaggio maggiore, può riuscire o fallire: il risultato dipende da quanti sono come lui. Se sono troppi quelli come lui, fallisce. E se fallisce fa male a sé e a tutti. […]

  • Grazie per il tuo articolo, molto ponderato, che ha il merito prezioso di indurci a pensare.

  • Riflessione bella e giusta che, come detto prima di me, ha il merito di farci pensare. A me viene in mente la società italiana (vista da l’occhio di chi vive fuori da una vita ma ha i sensi collegati con qcio che succede in Italia). Da anni, l’idea del bene comune si sgretola. Sempre di più si sente dire “non ho fiducia nella politica” perché in molti si sentono fregati da quelli in cui avevano riposto la fiducia. I casi di politici che si sono preoccupati più della propria persona che del bene comune ha contribuito molto a rovinare la narrativa. E questa narrazione ha effetti sulla gente comune, su i suoi comportamenti al lavoro, ma anche nella vita privata (familiare, associativa, culturale, etc). “Se quelli possono fregare tutti, anch’io allora”.E si entra cosi in un cerchio vizioso dove la vittima è sempre la fiducia nell’altro. Come giustamente detto nell’articolo, imparare a fidarsi in un contesto nel quale ci si fida poco degli altri richiede molto tempo. Perciò ogni elemento che contribuisce a ristabilire i valori di base, tale fiducia, onestà , trasparenza, è benvenuto. Sia attraverso le piattaforme ed il loro design, che l’educazione.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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