Il giornalista ironico e saggio che il Pulitzer a riconosciuto tra i grandi, Russel Baker, scomparso due giorni, tra l’altro ha scritto: «In America, niente muore più in fretta della tradizione». Una battuta alla Oscar Wilde che fa pensare all’Italia in quanto opposta all’America, da quel punto di vista.
Non è un male ricordare e trasmettere la cultura antica verso il futuro. È un male invischiarsi nel vecchio come fosse qualcosa di intoccabile. È un bene saper chiudere le partite e cominciarne di nuove. È un bene buttare giù palazzi di basso valore e età elevata per creare nuovi edifici più adatti alla contemporaneità. È un male perdere la memoria e svalutarne il valore perché tanto il nuovo è la sola cosa che si vende.
Il confronto ha bisogno di una definizione, però. Di che cosa stiamo parlando? La tradizione non è “fare le cose come si sono sempre fatte”: chi lo sostiene la sminuisce e peggiora la vita di chi gli crede. La tradizione è il processo con il quale si trasmette da una generazione all’altra la conoscenza che consente di distinguere le cose che sono fatte bene e quelle che sono fatte male. Ed è una ricchezza purché diventi il fondamento culturale sul quale si adatta la contesto contemporaneo la conoscenza di come si fanno le cose bene.
Se questa è la definizione, per una volta è l’America che ci perde nel confronto.
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