Si parla spesso di tracciabilità della filiera produttiva agroalimentare “dal campo al piatto”. E ovviamente non passa giorno che non si legga di una possibile applicazione della blockchain per certificare il percorso dei materiali alimentari che arrivano al mercato. (Per esempio: Emmanuel Delerm, su Forum Oecd).
Il problema è che la blockchain può servire alla certificazione delle transazioni di documenti digitali. Per applicarla alle transazioni di cassette di frutta occorre qualcosa di più. Infatti, la connessione tra un documento digitale e un oggetto fisico può essere facilmente manipolata.
Come si può fare?
In effetti, esiste un sistema che garantisce un’alta probabilità che un oggetto fisico sia proprio quello al quale si riferisce un preciso insieme di documenti digitali: si tratta di quello che avviene nella relazione tra il corpo di una persona e il suo smartphone. Le tracce che un corpo lascia nel mondo digitale con il suo smartphone tendono ad essere talmente personali da diventare uniche. Sono vere e proprie impronte digitali.
Una cassetta di frutta può essere proprio quella alla quale si riferiscono i documenti relativi alle transazioni registrate con una blockchain se le tracce digitali che lascia sono altrettanto complesse di quelle che lascia un corpo umano nel mondo digitale. Quindi probabilmente serve una condivisione di informazioni che implica una forte collaborazione tra tutte le piattaforme coinvolte, quelle che registrano i dati raccolti con i sensori, le telecamere, il lettori di codici a barre e rfid, o altro.
Probabilmente dunque la certezza dipende tanto dalla collaborazione tra tutti quanto dalla tecnologia e dalla blockchain. Imho.
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