Sarebbe magnifico discutere di come si potrebbe sviluppare una visione in grado di costituire un contesto più concreto e orientato al futuro per le scelte politiche (dei cittadini e dei politici). Dino Pedreschi offre uno spunto con un testo che ha inviato a questo blog. Dino è un grande data scientist: è consapevole della profondità del cambiamento che sta attraversando l’organizzazione sociale ed economica sulla scorta delle enormi trasformazioni alimentate dai Big Data, dall’intelligenza artificiale, dalla robotica (queste le sue pubblicazioni scientifiche). Opportunità epocali che si possono cogliere o perdere.
Dall’iniziativa di Dino potrebbe nascere una discussione se i commentatori e altri interpreti volessero rispondere alla domanda: è possibile la visione in politica o dobbiamo rassegnarci?
Per rispondere occorre una sofisticata ingenuità.
Ecco il testo di Dino Pedreschi:
«Il dibattito politico di questi giorni in Italia, intorno alla possibilità di un patto di governo fra il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico, non ha colto l’importanza della posta in palio.
Viviamo anni, decadi di svolta nella storia dell’umanità. La globalizzazione e la trasformazione digitale della società stanno producendo cambiamenti vasti e repentini. Incredibili concentrazioni di poteri e enormi disuguaglianze, distruzione di molti lavori a un tasso molto più rapido della creazione di nuovi, nuove povertà, grandi movimenti di popoli a livello globale, manipolazione della democrazia. Eppure le novità sociali e tecnologiche suggeriscono anche nuove possibilità, nuove strade percorribili per una visione progressista, inclusiva della società. Come racconta bene il giovane storico Rutger Bregman nella sua “Utopia per realisti”, il progresso sociale alle fine dei conti è la realizzazione delle utopie, di alcuni dei sogni ritenuti, in precedenza, impossibili. Oggi alcuni sogni sono a portata di mano, almeno in alcune regioni del mondo, come l’Europa: la sconfitta della povertà, la distribuzione e la remunerazione del minore lavoro che resta da fare agli umani, l’abolizione delle frontiere, non solo per le merci e il denaro ma anche per le persone. Sfide che richiedono un pensiero aperto, moderno, insieme scientifico e immerso nei valori umani. Non a caso nell’accordo di governo in Germania o nel programma recentemente licenziato da Macron in Francia si parla di Intelligenza Artificiale per l’Umanità, ovvero di come creare una società digitale al servizio dei valori e del benessere di tutti i cittadini. Un nuovo umanesimo digitale, che non può che nascere in Europa. E in Italia. Chi potrebbe raccogliere questa sfida in Italia? Ovviamente non la destra dell’egoismo, della xenofobia e della chiusura. Chi meglio degli eredi della prospettiva social-democratica, in crisi di ridefinizione nel nuovo scenario, ed i fautori di una prospettiva radicale in cerca di modelli sociali nuovi? Potrebbero innovare insieme, contaminandosi con i rispettivi punti di forza. Potrebbero inaugurare una stagione politica nuova.
Dovrebbero, provarci.
I grandi statisti non sono mai stati tali per nascita o per formazione. Lo sono diventati per la forza del destino, annusando il vento e creando una discontinuità, dettata dalla storia e dalla fortuna.
Dino Pedreschi, Pisa e Chiozza (Lucca), 29 aprile 2018»
Mai visto come ora politiche più miopi, l’uomo asservito al Dio denaro, all’apparenza ed al narcisismo. Impegnati alla ricerca di un benessere solo materiale e privo di veri valori i governanti, naviganti a vista del loro misero orizzonte di gloria personale, non riescono nemmeno a progredire in tale direzione. Il PD ridotto a partito personale, privo di identità altra dalla persona del suo vero capo, è ormai meglio che non partecipi alla guida del paese prima di essersi liberato della sua sciagura. Non vorrei spegnere la luce della speranza proveniente dal post di Luca e capisco perfettamente che anche questo possibile Governo è un’enorme opportunità per il nostro paese. Capisco anche l’incitamento di Pedreschi, come a dire: dai ragazzi, proviamoci! Se non noi, chi dovrebbe farlo? Ma mi ritrovo pessimista in questa contingenza. Ormai le politiche sono decise altrove. Che luogo sia non lo so. Un luogo che è ovunque e da nessuna parte pervade le nostre vite e le modella. Questo luogo costruito da noi ha sembianze umane ed è dentro di noi. Troppo spesso lo trattiamo come un ospite del quale proviamo vergogna e lo teniamo nascosto in qualche stanza di sotto sperando che nessuno lo senta. Renderci conto che siamo noi a nutrire e ad aver invitato l’ospite è già un punto di partenza. Troppo spesso nemmeno si vuole ammettere di aver sentito il suo fracasso provenire dalle basse stanze della nostra dimora.
Democrazia blockchain…La politica è fatta da corpi intermedi, i partiti, i loro protagonisti e le istituzioni. I cittadini dovrebbero essere da questi rappresentati ma non è cosi. Il Parlamento rappresenta i leader politici e le lobby sottostanti. Il voto dato non è collegato a nessun principio a nessuna dichiarazione di intenti, qualche volta a un programma poco chiaro e molto spesso poi disatteso. Siamo collegati ai nostri rappresentanti con gli schiamazzi su Facebook o Twitter o a qualche blog personale o sito web di partito. Ma così il senso di impotenza è enorme. Come posso fare perchè i parlamentari rispettino il nostro accordo, come posso fare per capire cosa stanno facendo, come posso validare il loro operato? Potremo provare a trasformare tutto il percorso di rappresentanza politica, in attesa di algoritmi intelligenti, all’interno di una blockchain. Un luogo digitale dove sono registrate e validate in modo molto sicuro tutte le azioni svolte dalle persone che vi partecipano. Trasferire una proprietà, registrare delle operazioni, certificare un programma, validare delle azioni, avere un contratto sicuro tra le parti senza bisogno di intermediari. Blockchain è questo e molto di più. Invece del voto ogni italiano potrebbe fare uno smart contract (un contratto appunto che sta su tecnologia blockchain) con la persona da cui vuole essere rappresentato in Parlamento. Nello smart contract ci saranno una serie di dati e di informazioni come il programma del candidato parlamentare, le azioni che si impegna a rispettare, gli accordi che farà con altri candidati, il metodo per cui la sua attività sarà controllata e verificata, il rispetto dei vincoli e ammende e penali a cui andrà in contro se non rispetterà lo smart contract. In una prima fase il deputato potrebbe ancora appartenere agli schieramenti della vecchia politica, sinistra destra, centro, autonomisti, partiti, ma la strada della blockchain segna inevitabilmente la fine di tutte questi domini. Il rapporto è 1 a 1. Nessuna intermediazioni, nessuna possibilità di uscire dallo smart contract, salvo la decisione comune di avviare un nuovo contratto. Il metodo parlamentare in una prima fase potrebbe continuare cosi come oggi, maggioranza, opposizione, partiti, schieramenti e quant’altro ma anche qui la blockchain può dare una mano. Il suo sistema di voto infatti può essere decentrato e distribuito e finita la democrazia rappresentativa ogni cittadino potrebbe occuparsi di votare azioni, programma proposti da chiunque abiti la blockchain. Un Parlamento blockchain senza rappresentanza, senza leader dove ogni persona decide e diventa responsabile delle sue scelte e delle sue azioni. Certo rimangono le visioni che possono comunque stare nella blockchain ma anche fuori. Si tratta di immaginare uno dei tanti futuri possibili. E’ un modello che può spaventare, ma si tratta di usare il telescopio e guardare lontano per vedere da vicino la cultura, la conoscenza, il sacro, le competenze e le relazioni, quello di cui abbiamo bisogno e riconoscere che i tratti del modello non sono poi cosi indefiniti come appaiono.
Democrazia blockchain…Come tradurre per il prossimo futuro la situazione politica che la comunità sta vivendo è una responsabilità che credo dovremo prenderci. Che sta succedendo alla politica, ai partiti, ai movimenti e ai suoi interpreti? L’ambiente in cui i partiti vegetano è irrimediabilmente compromesso e di conseguenza gli attori all’interno si muovono senza ragione, senza responsabilità e molti senza la consapevolezza del male che stanno facendo alla comunità e in parte a loro stessi. Certo la colpa non è da attribuire solo ai corpi intermedi anche le istituzioni hanno contribuito; il contesto era e è naturalmente complicato. La globalizzazione e la supply chain non permettono distrazioni e la comunità politica e partitica si sono invece distratti eccome. La conseguenza sono forme di governo che non funzionano più, i vecchi sistemi di produzione che agonizzano e le comunità che sono ipertrofizzate su modelli ormai vecchi e inutili. Abbiamo però degli strumenti che ci aiutano a capire questa evoluzionistica crisi naturale, i potenti telescopi della scienza, della filosofia e di altre molteplici conoscenze ci aiutano a vedere anche le figure meno distinte che spesso ci inquietano. Di momenti in cui la dissoluzione della società sembrava prossima è piena la storia e la soluzione era un rassegnato comportamento verso la fine del mondo. Il bel libro di Telmo Pievani “La fine del mondo” racconta evoluzionisticamente molte di queste fini. Ma ora non possiamo indietreggiare, la resa alla fine del mondo non è immaginabile, lo sviluppo e la cura dell’umanità ci aspettano. Certo le basi su cui poggiamo non sono il massimo e la prossima civiltà non potrà che emergere sulle ceneri di quella che l’ha preceduta come questa odierna porta con se quella triste prima di noi. Siamo ancora uomini che cercano di vincere se stessi. L’entusiasmo popolare e anche troppo spesso mediatico per il leader e per tutto quanto lo circonda in tutti gli aspetti dimostra ancor più questa tendenza verso l’immediatezza della vita e dell’esperienza dimenticando la conoscenza, il sacro e spesso anche l’uomo. Benessere, sicurezza, potere, confini, tutti concetti che dividono e poco uniscono. Anche lo stato-nazione non aiuta a unire. Ideali che dovrebbero appartenere ai primi homo sapiens. Non è terreno fertile per la cultura che si ha solo quando l’idea che la determina è più evoluta degli interessi rivendicati dalla comunità stessa. La cultura se non ha un senso metafisico non esiste. E è inutile ricordare qui quanto male abbiano fatto i social media e i suoi abitanti, costretti all’interno di una casa costruita senza ricerca di questo principio. Il sistema elettorale basato fortemente sul concetto di leader è evidentemente un sistema che non funziona, non regge, non può sopravvivere e con esso anche i suoi protagonisti. Come è possibile sentirsi effettivamente rappresentati da deputati e senatori? come credere nel Parlamento? C’è un modo per riscrivere le regole?
La politica è fatta da corpi intermedi, i partiti, i loro protagonisti e le istituzioni. I cittadini dovrebbero essere da questi rappresentati ma non è cosi. Il Parlamento rappresenta i leader politici e le lobby sottostanti. Il voto dato non è collegato a nessun principio a nessuna dichiarazione di intenti, qualche volta a un programma poco chiaro e molto spesso poi disatteso. Siamo collegati ai nostri rappresentanti con gli schiamazzi su Facebook o Twitter o a qualche blog personale o sito web di partito. Ma così il senso di impotenza è enorme. Come posso fare perchè i parlamentari rispettino il nostro accordo, come posso fare per capire cosa stanno facendo, come posso validare il loro operato? Potremo provare a trasformare tutto il percorso di rappresentanza politica, in attesa di algoritmi intelligenti, all’interno di una blockchain. Un luogo digitale dove sono registrate e validate in modo molto sicuro tutte le azioni svolte dalle persone che vi partecipano. Trasferire una proprietà, registrare delle operazioni, certificare un programma, validare delle azioni, avere un contratto sicuro tra le parti senza bisogno di intermediari. Blockchain è questo e molto di più. Invece del voto ogni italiano potrebbe fare uno smart contract (un contratto appunto che sta su tecnologia blockchain) con la persona da cui vuole essere rappresentato in Parlamento. Nello smart contract ci saranno una serie di dati e di informazioni come il programma del candidato parlamentare, le azioni che si impegna a rispettare, gli accordi che farà con altri candidati, il metodo per cui la sua attività sarà controllata e verificata, il rispetto dei vincoli e ammende e penali a cui andrà in contro se non rispetterà lo smart contract. In una prima fase il deputato potrebbe ancora appartenere agli schieramenti della vecchia politica, sinistra destra, centro, autonomisti, partiti, ma la strada della blockchain segna inevitabilmente la fine di tutte questi domini. Il rapporto è 1 a 1. Nessuna intermediazioni, nessuna possibilità di uscire dallo smart contract, salvo la decisione comune di avviare un nuovo contratto. Il metodo parlamentare in una prima fase potrebbe continuare cosi come oggi, maggioranza, opposizione, partiti, schieramenti e quant’altro ma anche qui la blockchain può dare una mano. Il suo sistema di voto infatti può essere decentrato e distribuito e finita la democrazia rappresentativa ogni cittadino potrebbe occuparsi di votare azioni, programma proposti da chiunque abiti la blockchain. Un Parlamento blockchain senza rappresentanza, senza leader dove ogni persona decide e diventa responsabile delle sue scelte e delle sue azioni. Certo rimangono le visioni che possono comunque stare nella blockchain ma anche fuori. Si tratta di immaginare uno dei tanti futuri possibili. E’ un modello che può spaventare, ma si tratta di usare il telescopio e guardare lontano per vedere da vicino la cultura, la conoscenza, il sacro, le competenze e le relazioni, quello di cui abbiamo bisogno e riconoscere che i tratti del modello non sono poi cosi indefiniti come appaiono.