Tutti si sono accorti che la popolazione soffre perché nella grande trasformazione contemporanea è tanto accelerata da rendere difficile coltivare un senso di prospettiva stabile e confortante. Avere una prospettiva significa sapere in che cosa si può investire il proprio denaro, il proprio tempo, la propria capacità di apprendere. Dove studiare? In che cosa impegnarsi? Che cosa sperare? Sono domande alle quali sappiamo rispondere solo se abbiamo una prospettiva. E poiché questo è un problema evidente, in molti si sono messi a tentare di rispondere al bisogno di prospettiva. Con una conseguenza: c’è un’inflazione di prospettive in competizione. Il che sembra creare ancora più confusione: il pifferaio magico è stato sostituito da una pletora di pifferai. Come siamo arrivati fin qui e come si prosegue?
La domanda è: che cosa è scarso oggi? Ciò che è scarso ha valore. Che cosa ha valore nel mercato contemporaneo?
Non è scarsa la quantità di merci in offerta: questa scarsità era tipica del Dopoguerra, quando qualunque cosa si producesse si sarebbe venduta, perché c’era bisogno di tutto. È l’epoca industriale del miracolo economico.
Non è scarso lo spazio per mandare messaggi: il digitale ha distrutto il filtro incorporato nella scarsità di spazio dei vecchi media analogici.
È scarso il tempo del pubblico, questo resta analogico.
Se il tempo del pubblico è scarso lo sforzo di conquistare al sua attenzione è gigantesco e cresce nel tempo. Se si tenta di conquistare attenzione ripetendo i messaggi, urlandoli, investendo di più in comunicazione, si finisce in un loop non sostenibile, perché con l’afflusso di competitori si dovrà spendere sempre di più per conquistare lo stesso livello di attenzione.
Quello che è veramente scarso è il senso riconosciuto dal pubblico nell’impiego del suo tempo.
Le infrastrutture ipertargettizzanti consentono di costruire nicchie di senso di ogni dimensione, vissute come quasi personalizzate, nelle quali si rischia di costruire echochamber autoreferenziali, nelle quali il senso non si confronta con il resto del mondo ma si costruire per ripetizione, gratificazione e consenso.
Ciascuno vive – o può vivere – molte echochamber. C’è un’inflazione di sensi. E ora?
La prossima questione è quella di trovare il senso durevole. Nell’inflazione dei sensi si consumano ideologie e parole d’ordine nel giro di cinque anni. Il senso durevole è paziente, concreto ed empiricamente motivato. Contro la distruzione di risorse, contro la polarizzazione e contro il timore dell’insuperabilità dei problemi si cercano valori durevoli: sostenibilità, civismo inclusivo, innovazione.
Che cosa impariamo dall’esperienza degli ultimi tempi?
1. Non vince nel tempo chi promette risultati immediati: questo modo d’agire delude in fretta. La memoria del pubblico è molto più lunga di quello che sembra.
2. Un’epoca basata sul consumo e la finanza lascia il posto a una nuova epoca nella quale al centro torna il lavoro e la cultura. Il progetto di questo passaggio è tutt’altro che chiaro. Chi saprà averne la leadership acquisirà un’importanza durevole.
3. L’innovazione non è un insieme di novità. È un – piccolo o grande – cambiamento nella direzione della storia. Il discernimento per valutare l’innovazione è un valore culturale che resta molto da sviluppare. L’investimento culturale che serve a sviluppare questo discernimento deve essere un obiettivo di tutti.
Insomma, quello che l’innovazione ci consente di dire è che è importante coltivare uno spirito critico verso ciò che è stato fatto finora, non per lamentarsene, ma per immaginare ciò che può essere fatto in futuro e imparare a realizzarlo.
[…] Luca De Biase abbia centrato in un suo articolo di questi giorni il tema di fondo che tiene insieme i contesti […]