Chantal Saint-Blancat scrive un libro da leggere intitolato Ricercare altrove. Fuga dei cervelli, circolazione dei talenti, opportunità (il Mulino 2017). Contesta l’idea semplicistica che il “mercato” spieghi gli spostamenti degli scienziati dall’Italia verso il resto del mondo e il numero inferiore di scienziati che fanno il percorso inverso. In realtà, le biografie sono sempre più complesse e ricche di senso. E le genealogie delle idee sono sempre più intriganti delle semplici giustificazioni iper-razionali tipicamente formulate ex-post allo scopo di sostenere qualche posizione politica o polemica velocemente consumabile o pregiudizio fatalmente indiscutibile. Non si tratta, dice il libro, di una somma di individui tutti similmente convinti a emigrare dalle condizioni di scarsità di risorse della ricerca in Italia. Si tratta di un fenomeno più ricco e complesso. La bellezza del libro è nella strategia di ricerca e nella narrazione emergente: se si riesce a vedere l’insieme degli scienziati italiani che hanno scelto di andare a fare ricerca all’estero non come una somma di individui ma come una diaspora, la loro esistenza si trasformerebbe in una risorsa culturale e forse economica per l’Italia. “Si è così inteso analizzare, sia pure per grandissime linee, il quadro delle potenzialità e degli interventi utili a convertire la moltitudine degli scienziati espatriati, oggi costretti in una condizione di sostanziale dispersione, in un network di agenti diasporici capaci di attivarsi per consentire il passaggio dallo stato potenziale a quello effettivo di risorsa per il paese, talché l’investimento operato sui talenti scientifici emigrati non si configuri soltanto come perdita di personale umano altamente qualificato”.
Del resto, le logiche attrattive dell’IIT sono ben presenti e dimostrano che anche l’Italia può far venire scienziati dall’estero, seguendo pratiche intelligenti. E la policy dell’università di Padova che sta provando – e riuscendo – ad attirare ricercatori eccellenti internazionali dimostra che è possibile cambiare il corso degli eventi. Ma il punto più importante è narrare la società degli scienziati come una realtà densa di senso, come una comunità, coesa e connessa, che testimonia di un pensiero intelligente, sofisticato ed empirico, che porta il suo valore culturale ed economico oltre i limiti del suo specifico ambito settoriale. Dimostrando perché studiare scienza è bene anche in Italia. E perché è tempo di ricominciare a far crescere l’università.
Nel libro c’è una ricchezza di spunti, analisi e fatti che è impossibile riassumere in un breve post. Ma l’apparire di una possibile realtà, la diaspora degli scienziati italiani nel mondo, dalle spoglie amorfe dei cervelli in fuga, può configurare i termini di una nuova strategia culturale ed economica per l’Italia.
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