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Marco Bardazzi elogia i professionisti

Marco Bardazzi pubblica un post sul senso del lavoro dei giornalisti. Si propone, in sostanza, di dimostrare che i giornalisti professionisti servono alla qualità dell’informazione. Perché, in sintesi, hanno un metodo sviluppato nel tempo che consente loro di produrre informazioni affidabili. Naturalmente il post è molto più articolato e va letto per intero.

E merita una riflessione. La qualità dell’informazione dipende certamente dal metodo con il quale si ricerca l’informazione e dall’abilità artigiana con la quale si racconta l’informazione. E’ possibile che questo metodo e questa abilità artigiana siano particolarmente diffusi tra chi fa professionalmente il lavoro del giornalista. Ma bisogna ammettere che fare il lavoro del giornalista non è condizione né necessaria né sufficiente perché lo si faccia con qualità, metodo e abilità. Mentre è altrettanto possibile che persone che non fanno il lavoro del giornalista offrano sui loro blog delle informazioni ricercate correttamente, dimostrate da documentazione adeguata e raccontate con abilità.

E’ il metodo che conta. Non la posizione professionale.

Il tentativo di connettere aprioristicamente la professione giornalistica e la qualità dell’informazione, purtroppo, non riesce.

Ma non è certo questa la fine della storia.

Il problema dell’epistemologia della ricerca dell’informazione, la questione del metodo, è al centro di ogni riflessione importante sull’informazione. Se n’è accennato spesso anche qui: “informazione silenziosa“, “la rete tivù“, “Zambardino preferisce il conflitto“, “l’alba di un nuovo giornalismo“, “informazione: chi spera non aspetta“, “il business è il messaggio?“, “newsapp“, “la difficile indipendenza dei giornali“, “credibilità“… E’ chiaro che un metodo condiviso di ricerca, verifica, esposizione dell’informazione è necessario a una società che voglia essere consapevole di ciò che le accade. L’esistenza di professionisti dell’informazione è di pubblica utilità soprattutto se si mettono al servizio dell’insieme della società con un metodo del genere. E bisogna ammettere che non sempre i giornalisti lo hanno fatto.

Quando si dice che non si può essere soddisfatti di una società nella quale l’informazione sia fatta soltanto da blogger non professionisti si dice una verità, ma non in base alla falsa considerazione secondo la quale solo i giornalisti hanno un metodo: la si dice in quanto l’infodiversità e al ricchezza di informazioni dipendono da una pluralità di fonti e di punti di vista che certamente non si arricchisce se si eliminano i professionisti dell’informazione. Non si potrebbe essere soddisfatti neppure in una società con molti giornalisti professionisti ma nella quale i cittadini che vogliono donare le loro informazioni gratuitamente alla rete non lo potessero fare… E’ chiaro che un ecosistema dell’informazione equilibrato richiede l’esistenza di tutte le componenti: e probabilmente è anche vero che l’esistenza dei blogger può essere uno stimolo per il miglioramento del lavoro dei professionisti. Perché in una società con un forte pubblico attivo, i professionisti dell’informazione sono costretti a dimostrare quello che raccontano molto di più di quanto non avvenga in una società nella quale esiste soltanto un pubblico passivo. Imho.

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  • Infatti, vorrei sapere se la persona che ha scritto oggi su Repubblica che Brin e Page hanno fondato Facebook era un giornalista “professionist” oppure no. Anche se in questo caso non serve nemmeno un tessera…giusto la capacita’ di usare Gogol (sapete, quello inventato dai fratelli Lumiere)

  • condivido il ragionamento che muove dall’idea secondo cui “non possiamo permetterci un mondo in cui il racconto della realtà sia affidato solo alla frammentazione (e spesso alla faziosità) dei blog”. ma che il ‘mestiere’ dei blogger equivalga a quello di un giornalismo fatto in casa, un po’ alla carlona, un’informazione ‘spezzettata’ e partigiana, questo non è vero. Sono due cose totalmente diverse in cui trovi informazioni diverse non solo per il contenitore ma anche per il contenuto. Il blogger, ad esempio, non si autopercepisce né si rappresenta come un giornalista sfigato, anzi (per lui è esattamente il contrario!). Ci sono notizie che puoi ormai trovare solo sulla Rete (ahimé) e pezzi che hanno il sapore della letteratura alta che ancora si possono leggere sui giornali. Due registri diversi che raccontano il mondo, direi in sintesi. Ma è ‘meno mondo’ quello raccontato sui blog? non credo. La riflessione che proporrei è questa, invece: cosa fa la differenza parlando di qualità del giornalismo? Il tesserino? proprio no. Scrivere alla Stampa o al Manifesto? cioé, il ‘dove’ si scrive? certo, questo è un elemento: è del tutto diverso informare al corriere della sera oppure al Giornale, e il lettore sa esattamente cosa andrà a leggere, e sa cosa vuole trovare in ciascuno dei due quotidiani. La verità è che regole, burocrazie, politiche editoriali, deontologia sono tutti ingredienti dell’impasto. Il talento, lo stile, la capacità di narrare a tutti, ce l’hanno in pochi. E non solo i ‘professionisti’.

  • Forse spesso si usa la parola blogger in maniera un po’ generalista, mentre ormai i giornali risparmiano facendo scrivere a chiunque, meglio se gratis. E purtroppo, ma non è solo il mondo dei giornali fatto così, a far strada è spesso chi mangia pane e ambizione più che cura e attenzione per il proprio ruolo di ricercatore e narratore.
    Non basta un pc connesso a internet a scrivere qualcosa di accettabile, come minimo bisogna spendere 10 euro in telefonate tante volte. La qualità oltre che metodo richiede un minimo d’investimento. Purtroppo certo giornalismo (quello fatto per vendere e non per informare…) ha maleducato un po’ tutti noi piccoli lettori e ora si fa fatica a distinguere le firme di qualità dalle altre. Eppure credo che se il giornalismo sapesse stare dentro la carreggiata dell’indipendenza e della verità, dell’approfondimento e della cura della parola, tanto pubblico apprezzerebbe comunque. Perché è forse è anche l’assenza di una lettura condivisa, vera e quindi sentita del presente che impedisce di avere una visone utile per il futuro.
    P.S. @Serena, le informazioni in campo tecnologico che danno i quotidiani sono non raramente bufale o ben che vada pezzi zeppi di strafalcioni…

  • Quando si parla di metodo credo che si faccia centro sulla questione della qualità, ma sono indirettamente se con questo criterio si mettono a raffronto tutte le istanze che generano l’informazione. Mi spiego meglio, dalla professione giornalistica “dovrebbe” esser un impegno deontologico la correttezza del metodo. E questo presuppone che il metodo sia conosciuto come valevole, accettato e praticato. Ecco, la distinzione avviene nei tre passaggi: conoscerlo è l’aspetto più prettamente concettuale e ho ragionevoli dubbi che possa esser prerogativa della professione, quando effettivamente nessun ordine vaglia per l’ammissione o chi svolge l’attività competenze epistemologiche o quelle più elementari della ricerca sociale. In questo campo qualsiasi blogger con tali competenze potrebbe informare con migliore cognizione di causa. L’aspetto per cui la qualità presuppone il metodo valido e questo venga a sua volta riconosciuto come valevole, è prerogativa della professione giornalistica indubbiamente, tutti gli altri possono concedersi licenze e se ne concedono abbastanza. L’accettazione che possa esser utile prende in ballo sempre la professione, soprattutto perché in questo caso, fuor di deontologia, ci sarebbe un effettivo vantaggio di competenza del giornalista, della competenza acquisita e verificata nella pratica.
    A me sembra che la sostanziali differenza sia tutta per come sono distribuiti gli incentivi della professione ad adottare tale metodo. Incentivo doppio per quella sorta proliferazione di voci, in quanto “..l’esistenza dei blogger può essere uno stimolo per il miglioramento del lavoro dei professionisti”.
    Il problema è che il giornalismo si è messo in sfida sul metodo della narrazione e non sul metodo della ricerca. In quel campo piuttosto che distinguersi per qualità, lo cerca nella qualità estetica. Il valore retorico, importantissimo per molti motivi, lo vedrei meglio come la ciliegina sulla torta e non la torta.

  • A parte tutti i discorsi sulla supposta “democratizzazione” delle informazioni, per cui in partenza qualsiasi affermazione o notizia pubblicata sul web può essere egualmente vera o falsa (la sua veridicità viene decretata in base a un criterio di popolarità che può essere veramente fuorviante), c’è una sostanziale differenza tra giornalista e blogger: il grado di responsabilità che si assumono davanti alla legge (civile e penale) nel momento in cui pubblicano.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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