La vegetazione assorbe CO2. La conservazione, la rigenerazione e la sana valorizzazione delle foreste naturali con la loro biodiversità è la forma più intelligente di assorbimento della CO2 per la lotta al cambiamento climatico. Gli ecosistemi con la loro biodiversità sono ricchezza, salute, evoluzione: sono di per sé un valore, a sua volta minacciato dall’espansione della presenza umana. Ma sono inoltre il grande alleato della vita contro l’emergenza climatica causata dall’industrializzazione fondata sull’energia prodotta bruciando idrocarburi. Un grande studio pubblicato in questi giorni su Nature ne dà conto.
Come spesso succede, gli umani hanno preso una semplice verità come questa e l’hanno trasformata in una ricetta banale. La strategia lineare di piantare mille miliardi di alberi per combattere il cambiamento climatico è bella e semplice, ma non ha la stessa efficacia della conservazione delle foreste naturali. Perché un albero piantato fa benissimo ma non ha lo stesso ruolo complesso di un albero che vive in ecosistema ricco di biodiversità. Il New York Times offre uno sguardo su questa questione. (Background: la scienza delle foreste è oggetto di un articolo di qualche tempo fa su Nature).
Le conseguenze di questa scoperta possono essere rilevanti. L’Europa ha una strategia per la biodiversità e ha fatto benissimo ad approvare finalmente una nuova normativa per salvaguardare o ripristinare la natura nel 20% del suo territorio: Nature Restoration Law. Non sarà un cammino facile. Ma le opportunità di un percorso di amicizia con la natura e la sua biodiversità sono chiaramente maggiori dei rischi di distruggerla. L’innovazione che è connessa a questa strategia può generare immense possibilità. Gli umani fanno fatica a pensare la complessità. Preferiscono vedere il proprio piccolo giardino piuttosto che la grande foresta la fuori. Ma impareranno. Il problema è quello di prevedere se capiranno con la loro scienza e la loro lungimiranza oppure soltanto per reazione alle catastrofi.
Per approfondire la conoscenza su queste questioni in Italia si può prestare attenzione al National Biodiversity Future Center.
Foto: “Forest” by Kamil Porembiński is licensed under CC BY-SA 2.0.
Il problema è che metterà nei guai migliaia di agricoltori italiani, perché il ritmo di rotazione per le monocolture è troppo rigido, stando agli addetti ai lavori. Forzare a cambiare la semina ogni anno porterà a problemi alla catena alimentare;: il mais, ad esempio, è spesso usato come mangime, quindi se viene a mancare, si creano problemi in tutta la filiera. E’ bello predicare la biodiversità con il… campo… degli altri. Dovremmo essere noi a ridurre drasticamente il consumo di carne invece, ed incentivare l’agricoltura a tornare ai tempi che furono. Ma non succederà: gli agricoltori dovranno fare giravolte spaziali per soddisfare la domanda, incastrati tra l’incudine ed il martello europeo.