Oggi a Glocal, bellissimo festival di Varese, il panel di apertura è stato ispirato da alcuni dati registrati dal Digital News Report 2023 del Reuters Institute for the Study of Journalism. Un terzo delle persone ha smesso di informarsi anche perché le notizie creano ansia. E in Italia solo il 34% della popolazione si fida dei media. Ed ecco quello che ho tentato di sostenere.
Siamo immersi in un contesto storico non facile per la credibilità del giornalismo. Il giornalismo non è un mestiere o un genere letterario: è una disciplina dotata di un metodo, che si può descrivere come una versione artigiana del metodo scientifico. E in particolare di una scienza che assomiglia alla storia. Cerca di studiare le fonti, cerca di criticarle e metterle a confronto con altre fonti, cerca di riportare soltanto ciò che è fondato sulla documentazione più affidabile e verificabile. E poi offre i risultati in una forma che può essere semplice non banalizzante, utilizzabile, talvolta persino gradevole. Ma il contesto è particolarmente complicato. Perché la qualità della documentazione è in molti casi casi sottovalutata rispetto alla accettabilità del messaggio.
Uno tra molti casi, lo esemplifica. Newt Gingrich, ex speaker del Congresso ed ex storico, era intervistato da CNN, durante la campagna elettorale del 2016. L’intervistatrice gli dice: «Voi repubblicani date troppa importanza alla criminalità, ma i dati dicono che la criminalità è in diminuzione da anni». Il politico risponde: «Ma il popolo americano non la pensa così». L’intervistatrice gli oppone: «Ma questi dati sono stati registrati dall’FBI. Questi sono i fatti». E Gingrich: «Anche quello che pensa il popolo americano è un fatto». Commento: i fatti documentati e i fatti percepiti possono essere messi sullo stesso piano. Ma soltanto all’interno di narrative che il contesto mediatico trasforma in frame narrativi autoreferenziali, cioè indipendenti dai fatti.
Carlo Goldoni si difendeva dalle accuse di chi gli diceva che nelle sue commedie non raccontava la verità. «Se scrivessi la verità non mi crederebbero. Devo dunque scrivere il verosimile». Cioè quello che corrisponde alla narrativa accettabile.
E la narrativa accettabile in questo periodo è influenzata dalle condizioni di frammentazione della società. Non c’è un terreno comune ma una divisione in tribù culturali e valoriali. L’identitarismo è più forte dell’universalismo, attualmente. E tutto questo avviene in un contesto in cui l’economia è polarizzante, con una crescita dei ceti che stanno in alto e in basso nella società, mentre il ceto medio si prosciuga. Inoltre, le piattaforme con il loro algoritmi di raccomandazione alimentano la distanza tra le opinioni, riducono la probabilità di frequentazione di punti di vista alternativi, radicalizzano le opinioni.
Se il giornalismo si adegua alla logica del verosimile senza cercare di dire il documentabile, può avere successo di pubblico ma diventa commedia e perde credibilità.
Il giornalismo come metodo serve ad alimentare una cultura nella quale “tutti hanno diritto alle proprie opinioni ma non ai loro fatti”. Se non segue questo metodo perde di significato. “Il giornalismo è la prima bozza della storia”. Altrimenti si limita a raccontare storie. Che spesso sono frottole.
Quindi il problema del giornalismo è inglobare nella sua etica una forte componente di epistemologia. Il che è a sua volta una sfida imponente. Come diceva Woody Allen chi si occupa di epistemologia deve domandarsi: «È conoscibile la conoscenza? E se non lo è come facciamo a saperlo?»
Commenta