Ne L’età della ragione, Jean-Paul Sartre descrive le esitazioni di un personaggio di fronte alla sua possibile adesione al Partito Comunista Francese. Il libro, iniziato prima della guerra, nel 1939, è pubblicato dopo, in contesto diverso. Ma la questione centrale, quella della libertà, resta a sottendere le sue scelte. Scrive, nel 1947: «La politica del comunismo staliniano è incompatibile con l’esercizio onesto del mestiere letterario» (Situations II, 1948, p. 280). Ne parla con Albert Camus, Simone de Beauvoir, Maurice Merleau-Ponty. Una bussola teorica guida Sartre nel contesto della rinascita sociale post-bellica, tra potenti tensioni sociali, scelte di campo tra le due superpotenze, decisioni collettive e leadership intellettuali da conquistare o difendere.
Oggi, in piena guerra in Europa, dopo una pandemia mondiale, prima delle prossime emergenze collegate alle dinamiche climatiche, la scelta di aderire a un partito è altrettanto attuale, in teoria. Ma dopo la desertificazione ideale dell’epoca neoliberista, quello che manca per superare l’esitazione non è l’età della ragione ma il recupero dell’emozione autentica per il gesto di darsi a una causa politica. Con la trasformazione della democrazia in un mercato dei consensi, nei decenni passati, l’adesione a un partito sconfina con un’operazione di comunicazione dedicata a cercare voti: la genuinità dell’ideale di partito si perde nell’interesse di parte.
E tutto questo, paradossalmente, ripropone il dubbio di Sartre: l’adesione a un partito è compatibile con l’esercizio onesto del mestiere letterario? Anche perché mentre i mestieri letterari sono cambiati notevolmente ciò che ne rende onesto l’esercizio è cambiato molto meno. La letteratura si è reincarnata in nuovi linguaggi adatti a nuovi mezzi di comunicazione. Ma la ricerca che la sottende e che la motiva resta possibile soltanto nella trasparenza degli interessi del ricercatore. La libertà del pensiero resta possibile solo nell’indipendenza da preconcetti e obiettivi di potere. La stessa credibilità del narratore resta solida soltanto nella sua disponibilità a entrare sinceramente nel punto di vista degli altri. La sua eventuale leadership deve essere prima culturale che politica. E la sua funzione è comunque la liberazione del pubblico, non la sua manipolazione.
Certo, un equilibrio si deve pur trovare tra la funzione politica e quella intellettuale. Può essere un equilibrio diverso da quello del passato. Ma forse va cercato nell’evoluzione delle attività che una persona può svolgere nel corso della sua vita. Non nella loro sovrapposizione. La difficoltà di trovare questo equilibrio è però la sola strada per sviluppare una ragione emozionante per impegnarsi.
L’età della ragione fa fare un passo avanti nella conoscenza. Ma l’emozione è la forza che può far fare quel passo avanti a molte persone insieme. L’una senza l’altra generano mostri.
Commenta