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Fabio Bonifacci, “Il giro della verità”.

Quando Fabio Bonifacci racconta una storia, lo si sta ad ascoltare. Per un sacco di tempo ha scritto sceneggiature di film straordinari, magici (IMDB). Ha insegnato a scrivere a chiunque volesse leggere il suo blog. Ha offerto creatività in molte direzioni, persino in tv e sui giornali. Ha arricchito Nòva per qualche anno del quale chi scrive ha ancora nostalgia. Ha scritto dei romanzi senza pubblicarli. Fino a questo ultimo: “Il giro della verità” (Solferino 2020). Non è solo il titolo a girare intorno alla verità. È tutta la sua ricerca a concentrarsi sull’”autentico”: non per niente è l’aggettivo che Bonifacci dedica a Lele, il suo protagonista, per bocca di Serena, la ragazza bella e impossibile.

Non è che per essere autentico un romanzo deve per forza parlare di ragazzi che scivolano verso il basso e famiglie che si sgretolano. E non è che per trovare una soluzione un romanzo deve per forza consentire ai disperati di riscattarsi. Non è solo la linea della storia a fare di questo romanzo una grande lettura. Una di quelle letture che quando è finita ti dispiace. Ma meno male che è finita perché negli ultimi due giorni non facevi altro che tuffarti in quelle pagine.

Il motivo per cui questo romanzo non è soltanto un grande godimento ma un’esperienza importante per chi vuole sapere come sta la nostra società è la sua precisione nella descrizione dei personaggi e nella dovizia di dettagli che si riconoscono come palesemente veri. Quando un romanzo si fa adottare perché chiaramente serve a vedere quello che abbiamo sotto gli occhi ma non abbiamo la pazienza di guardare, allora quel romanzo supera sé stesso e genera una realtà aumentata, non da qualche software ma dall’immaginazione.

La letteratura è una forma di ricerca.

I ragazzi cercano l’amore e trovano la finzione. Si mettono nei guai e si avvitano in una spirale che fa soffrire il lettore come un cane per quanto sembra tragicamente ineluttabile. Non seguono la linea del conflitto con la società degli adulti, non i ragazzi di oggi. Hanno addirittura una sorta di fiducia negli adulti, sebbene capiscano che i linguaggi e gli interessi sono molto diversi. Quello che spiega la loro sofferenza è la stessa condizione umana che spiega come, allo stesso tempo, siano disperati gli adulti. La frantumazione dei ragazzi che incontrano la realtà e la sfuggono nella finzione è parallela alla distruttività degli adulti. Non c’è conflitto ma un comune destino. E nel male, come nel bene, se ne esce con l’invenzione della verità.

Chiunque sia impegnato a capire come ricucire le storie dei ragazzi e delle ragazze con quelle dell’insieme della società in questo tempo che sembra essersi dimenticato della responsabilità di dare una prospettiva ai giovani, forse, dovrebbe leggere questo libro di Fabio Bonifacci. Per trovare ispirazione.

Ps. E poi per quelli che sono preoccupati delle dipendenze dai social media, il confronto con i problemi di droga è un buon modo per ritrovare il senso delle proporzioni. In entrambi i casi, certo, si tratta di attività che chiudono la mente nella finzione. Non sono esperienze ma sospensioni dell’esperienza. Lo spiega la professoressa del romanzo: una di quelle professoresse che ricuciono i rapporti tra i giovani e gli adulti raccontando storie vissute davvero con il linguaggio giusto e dimostrando un rispetto per i ragazzi pari al rispetto che testimoniano per la conoscenza.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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