Non è solo una questione italiana. Ma sicuramente in Italia è particolarmente evidente. Non sappiamo abbastanza del virus. Stiamo prendendo decisioni sulla base di priorità strategiche ed emotive. Ma non abbiamo dati per sapere davvero dove sono i focolai, per sapere quanto è importante chiudere che cosa, per conoscere come si muovono gli italiani e prendere provvedimenti. (un intervento fin troppo deciso in tal senso è di John Ioannidis, professore a Stanford in Medicine, Health Research and Policy e Biomedical Data Science: A fiasco in the making? As the coronavirus pandemic takes hold, we are making decisions without reliable data).
Comunque, in mancanza di dati chiudiamo tutto.
È giusto, per quello che sappiamo. Sappiamo che il modello matematico dell’epidemia prevede che se non si fa niente in un certo tempo quasi tutti saranno contaminati (Barabàsi). Nessuno vuole una politica che non faccia niente: gli inglesi lo hanno dimostrato. Ma si possono fare diverse cose, non solo chiudere tutto. Deve essere difficile se questa è la scelta che si prende in mezzo mondo. Dunque stiamo stretti intorno al nostro modo di agire, manteniamo la disciplina, teniamo alto il morale.
Ma cerchiamo anche di imparare.
L’obiettivo sarebbe quello di impedire alle persone contaminate di contaminarne altre. Se sapessimo chi sono e le internassimo potremmo lasciare libere le altre. Non sappiamo chi sono e forse non possiamo saperlo neppure in contesti di sorveglianza assoluta. Anche in Corea e Singapore, anche dove si sono spenti i primi focolai, se ne riaccendono altri: è ovvio, siamo una rete globale. Ma possiamo aumentare gli sforzi per avere conoscenze probabilistiche più profonde e modulare le decisioni in modo da lasciare che chi ha poche probabilità di contaminarsi possa sviluppare le sue attività e tenere insieme la società e l’economia?
Non sappiamo se si riuscirebbe, ma dobbiamo assolutamente provare ad avere dati migliori per tentarlo.
Neppure per la malattia abbiamo informazioni sufficienti. Non abbiamo dati coerenti tra un sistema sanitario e l’altro in Europa e tanto meno nel mondo, come ha scritto Ilaria Capua. Non sappiamo quanti sono i contaminati asintomatici e dove si trovano. Non sappiamo dunque neppure quanto è letale la malattia e come gli asintomatici hanno sviluppato la loro capacità di autocurarsi (spero di sbagliare su questo).
Le nostre scelte strategiche sono basate sui limiti di capienza degli ospedali. Tutto il resto è considerato secondario. Ma gli ospedali ragionano su piccoli numeri. Non vedono tutto il movimento della società, come invece possono vedere le compagnie di telecomunicazioni, le piattaforme social, i motori di ricerca…
Una task force dovrebbe partire al ministero dell’Innovazione, come ha detto al Sole 24 Ore la ministra Paola Pisano. Sono almeno due settimane che dovrebbe partire. Speriamo che alla fine parta e che cominci a lavorare. È urgente. Perché mentre gli italiani faticano a mantenere la disciplina e si fanno domande psicologiche profonde, le autorità devono cominciare ad avere le idee più chiare sulle prospettive del fenomeno: una luce in fondo al tunnel si vede solo se la si cerca e se si hanno occhi per vederla.
Se non cominciamo a studiare seriamente avremo un’economia a pezzi e questo è persino banale dirlo ormai. Avremo bisogno di ricostruire un sistema complesso. Dobbiamo studiare per affrontare quella complessità. Avremo lavoratori a casa con sistemi insicuri e continui attacchi cyber (Russia Has New Tool For Massive Internet Shutdown Attack, Leaked Documents Claim). Avremo uffici da riconfigurare (Your Open-Floor Office Could Help Spread Coronavirus). Avremo filiere produttive da ricucire (Supply-chain recovery in coronavirus times—plan for now and the future). Avremo bisogno di nuova formazione, nuove modalità di consumo, case diverse, risparmi più solidi, relazioni sociali più sane, ambienti meno inquinati, sistemi sanitari meno rigidi se possibile… si può continuare. Anzi, perché non continuare? La lista dei desideri per il dopo potrebbe essere un inizio per realizzarla.
Ma un primo punto, per affrontare il presente e il futuro, per proteggere le aree del paese che non sono state investite in pieno dal virus, per tirare fuori le aree del paese che sono nell’epicentro, per consolidare una consapevole speranza, è sapere come stanno le cose nel modo migliore possibile. In un momento in cui gli scienziati clinici sono al comando e sentono di aver bisogno di aiuto, i data scientist possono entrare in gioco e diventare un appoggio fondamentale. Forza: creiamo la task force e diamole i dati che le servono, nel rispetto delle regole. E dell’intelligenza.
Da leggere in proposito:
Bill Gates: Responding to Covid-19 — A Once-in-a-Century Pandemic?
Open-Source-COVID-19
Tips for Journalists Covering COVID-19
The Medical Ethics of the Coronavirus Crisis
Building a Scientific Narrative Towards a More Resilient EU Society
I dati ufficiali sono un’illusione ottica
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Buongiorno Luca,
In realtà i dati ci sarebbero (con qualche minima correzione di congruenza) il problema è l’utilizzo di strumenti non troppo evoluti per la loro analisi ed interpretazione.
Leggo di molti pseudoricercatori che azzardano analisi e si proiettano in previsioni pirotecniche che annunciano la fine del mondo in breve tempo, oppure che in controtendenza dicono che da domani vedremo sorgere il sole.
Lato mio che faccio ricerca in questo campo da quando i calcolatori andavano ancora a carbone.., insieme con i miei collaboratori nei due team di ricerca che seguo, abbiamo sviluppato un sistema di analisi previsionale che oltre a tener conto di molteplici variabili (vedo invece abbastanza inutilizzate dagli altri…) ragiona tramite una I.A. in grado di interpretare più velocemente e precisamente i dati effettuando anche ragionamenti complessi sulle variabili di cui in precedenza (quindi non un semplice modello statistico-epidemiologico).
La dimostrazione l’abbiamo con i dati previsionali giornalieri che ad esempio per il nostro paese sono dimostrano la loro affidabilità (ad esempio ieri avevamo previsto un incremento di 6000 casi totali con errore di +/- 10% ed in effetti i casi incrementali sono stati 6557).
Ho scritto ad enti ed istituzioni varie del nostro modello e di poterci mettere a disposizione volontariamente (come succede sempre in ambito di ricerca)…, ma non ho mai ricevuto risposta da nessuno…, e sinceramente non capisco il motivo.., soprattutto in momenti di emergenza come questo.
Tra l’altro abbiamo esperienza di situazioni complesse come questa, perchè abbiamo partecipato alla gestione di altri fenomeni e siamo stati anche coinvolti in person nella più importante simulazione epidemiologica che sia mai stata realizzata: il progetto CLADE-X della JHU.
Per contro istituzioni estere con le quali collaboriamo abitualmente si appoggiano a noi per l’elaborazione dei dati a loro consoni e per le consulenze che possiamo dare…
Pertanto se partisse questa task force (e ne sarei davvero felicissimo) noi saremmo pronti a collaborare sin da subito e spero che a qualcuno venga in mente di chiamarci.
Marco Armoni (PhD)