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Dopo la crisi: resilienza

Questo post riguarda il futuro dopo il COVID-19. Certo, già il presente è poco chiaro, figuriamoci il futuro. Ma una cosa la sappiamo: ci salviamo o ci condanniamo insieme. Qualsiasi decisione un governo democratico prenda in un caso come questo, va rispettata, per il bene comune e per il bene individuale: siamo una rete, ogni singolo si salva se si salva l’insieme. Questo non significa che non si possa imparare da ciò che è stato fatto. E che non si possa immaginare come migliorare il futuro.

La vicenda del COVID-19 lascerà il segno. Si tratta chiaramente prima di tutto di uno shock umanitario. Ma subito dopo si vedrà che si tratta anche di uno shock economico. Come ne usciamo? I dati sono poco chiari e poco comparabili. Le previsioni sono estremamente complesse. I temi strategici si possono porre solo comprendendo il salto di paradigma che stiamo vivendo in questo ennesimo colpo alle abitudini mentali che il millennio ha generato.

Scenari e comparazioni

In sintesi:

1. La questione essenziale da risolvere in questa crisi è stata relativa alla capacità di cura dei sistemi sanitari in condizioni di picco. I sistemi sanitari pensati con un criterio di efficienza si rivelano proporzionati alle condizioni ritenute normali, ma non possono reggere a picchi eccessivi della domanda di ricoveri; la resilienza di questi sistemi è il progetto del futuro.

2. La decisione di ridurre al minimo le perdite umane per la malattia, in queste condizioni, si traduce in una mazzata all’economia se la politica affronta la questione in modo generico e non cerca l’equilibrio tra i due problemi, cercando di bloccare i contatti dei veri probabili contagiati ma lasciando la gran parte della popolazione in movimento;

3. Le conseguenze si possono immaginare in base a due scenari alternativi: a. un rafforzamento delle persone, dei ceti e dei paesi più forti economicamente e fisicamente con un peggioramento delle condizioni di tutti gli altri; b. un cambio di paradigma con la ricerca di operazioni più misurate in contesti orientati alla resilienza.

Vediamo un poco più in dettaglio.

1. Un sistema industriale produce beni e servizi proporzionati alla media delle esigenze. Specializza le strutture, parcellizza il sapere, razionalizza le operazioni, allo scopo di ottenere massima efficienza. In un contesto neoliberista – un sottoinsieme dei sistemi industriali e capitalistici – ogni struttura è efficiente se minimizza i costi, massimizza i profitti privati, limita la spesa pubblica, e così via. Un contesto neoliberista, ideologicamente, pensa che: a. lo stato è un’azienda che deve erogare servizi di valore paragonabile alle tasse che i cittadini pagano; b. ogni attività privata è migliore di qualsiasi attività pubblica; c. il debito privato è buono e il debito pubblico è cattivo; d. l’iniziativa privata non deve essere frenata dalle regole pubbliche. Se tutto questo è vero, l’efficienza dei servizi pubblici è ottenuta con la riduzione al minimo dei costi. Considerati in questo contesto, ospedali, scuole, servizi pubblici finiscono per dover ridurre l’operatività al minimo accettabile, anche perché non c’è limite alle pretese del neoliberismo.

D’altra parte il neoliberismo crede che tutto questo sia vero sempre. L’ideologia capitalista immagina l’esistenza di un mercato che ha sempre la risposta giusta a ogni richiesta di informazioni sull’allocazione corretta delle risorse. Non esistono cambiamenti di sistema, non esistono salti di paradigma, non ci sono contesti storici diversi, per il neoliberismo. Tutte le diversità vengono ridotte all’unità ideologica di fondo. E le crisi sono momenti passeggeri in una lunga marcia per il progresso. Le conseguenze delle crisi, come l’inquinamento, sono esternalità negative, che al capitalismo non interessano.

Ma per quanto successo culturale abbia avuto il neoliberismo, non c’è solo quel modo di vedere le cose. E man mano che l’esigenza di costruire sistemi sostenibili cresce nella consapevolezza generale, il cambiamento culturale diventa importante.

Se si sta dentro le crisi, se si vive empaticamente con chi manifesta problemi sociali ed economici, se si ha una sensibilità per la sostenibilità, il pensiero evolve oltre il neoliberismo. E le alternative da esso negate cominciano a esistere.

Per molti osservatori indipendenti, i servizi pubblici non sono come i servizi privati. La medicina è la cura del benessere della comunità. La scuola è la trasmissione del sapere e la liberazione delle capacità delle persone. I servizi di assistenza per i deboli servono all’inclusione sociale e alla tenuta della comunità. Quando ci sono le crisi, le persone che ci lavorano svolgono un ruolo essenziale per gli altri e le comunità si stringono intorno a questi servizi per continuare a sperare.

Inoltre, spesso in quei casi ci si rende conto del fatto che le crisi non sono esterne al sistema, ma ne sono parte integrante. Prepararsi ai picchi di bisogno è necessario e possibile. E allora il problema non è riformare i servizi pubblici per portarli alla massima efficienza in termini di costo. Il problema è creare sistemi resilienti.

Resilienza. Parola di attualità. Nassim Taleb preferisce “anti-fragilità”. Un sistema resiliente recupera bene dopo le crisi. Un sistema anti-fragile migliora nelle crisi. Differenze concettuali, ma non necessariamente fondamentali. Anche perché dobbiamo capire la sostanza del problema. Come è fatto un sistema adatto ad affrontare le crisi in modo intelligente? (Vedi un paper di Enrico Giovannini e altri)

Il sistema sanitario sotto stress per il coronavirus mostra come la monomaniacale concentrazione sull’efficienza in ogni momento riduca la resilienza e l’efficacia durante le crisi, nei casi di picco. In pratica, finché tutto va bene si taglia all’osso e quando serve manca la ciccia. In Italia, dove i numeri veri di contagiati sono stati sempre comunicati e i morti sono stati attribuiti al virus e non ad altre malattie debilitanti, la risposta è stata quella di bloccare il paese per non far collassare il sistema sanitario (il che avrebbe provocato un numero inaccettabile di morti). Inoltre, si è speso molto per aumentare un po’ la capacità produttiva degli ospedali. Il meglio è stata la solidarietà nei confronti degli ospedali: la resilienza in Italia è nella società. In Francia avevano messo da parte la cosiddetta “riserva sanitaria” e hanno richiamato in servizio le persone che occorrevano e che erano già preparate ad operare (Le Monde).

Il progetto della resilienza è ben diverso da quello dell’efficienza: e va adottato per i sistemi pubblici essenziali. Si tratta di costruire sistemi dotati di ridondanza, di flessibilità, privi di fragilità: il che implica un rapporto forte con la comunità, l’accesso a risorse messe a riserva, la possibilità di ricorrere a persone che sono preparate ma di solito fanno altro, e così via. Un po’ come i militari svizzeri che in pratica sono tutta la comunità, disponibile a difendere il paese quando serve.

2. Tra la riduzione del numero di morti e il contenimento degli effetti negativi sull’economia la ricerca dell’equilibrio è essenziale.

Alcuni paesi hanno scelto di puntare a salvare più vite possibile, mettendo in secondo piano la conseguente crisi economica. Altri paesi hanno scelto di puntare a salvare l’economia nascondendo per quanto possibile sotto il tappeto la vicenda sanitaria. È evidente che il senso di responsabilità si applicava a valori ed emozioni diverse, nei diversi casi. Ed è anche chiaro che l’intelligenza si misurava con la capacità di intervenire duramente contro la propagazione del virus senza azioni generiche ma attraverso operazioni miratissime: un’idea che non è fantascienza è quella di usare i cellulari, i big data e l’intelligenza artificiale per prevedere chi è contagiato o rischia davvero di contagiarsi e quindi bloccarlo, lasciando vivere gli altri quasi normalmente. In Europa sembra più difficile farlo che in altri paesi: ma anche la privacy potrebbe essere più resiliente che inflessibile? Una riduzione della privacy a tempo determinato per i momenti di grande crisi, che consenta di seguire ogni persona per individuare chi ha concrete probabilità di essere contagiato e dunque di contagiare, può condurre a provvedimenti mirati. (Reuters).

In un paese di 60 milioni di abitanti con 15mila contagiati, fermare tutti potrebbe essere sproporzionato: ma per fare diversamente dovrebbero esistere alternative. Con tutti i dati sui comportamenti delle persone di cui disponiamo e con l’intelligenza artificiale probabilmente si riesce a prevedere chi ha maggiori probabilità di contagio. Bloccare i soli contagiati e tutti quelli che sono stati probabilmente in contatto con loro sarebbe una misura che coinvolge meno persone e potrebbe essere più proporzionata ma si dovrebbe chiarire l’etica delle deroge al diritto alla privacy in tempi estremi in cui la condizione individuale è meno rilevante della condizione di rete. I cittadini potrebbero accettare una deroga in condizioni particolari: in una guerra o in una pandemia le condizioni sono particolari. L’argomento merita una riflessione ulteriore: di certo non sono io a saper rispondere. Ma la ricerca di una misura migliore di quella di bloccare tutto un paese di 60 milioni di persone, almeno in teoria, resta ragionevole, visto che poi le conseguenze economiche riguarderanno invece tutti e che saranno i più deboli a pagarla più cara (Reuters sulla differenza tra Italia e Corea)

3. Lo scenario che vede l’accentuarsi delle distanze tra i ricchi e i poveri è molto probabile. Se però si cambia mentalità diventa molto più attraente lo scenario nel quale la comunità prende in mano la situazione e costruisce una serie importante di strutture di mutuo soccorso e di competenze adatte alla resilienza. Non può essere lo stato a fare questa scelta. Deve essere la comunità, aiutata dallo stato e dai privati. L’innovazione sociale è essenziale per pensare e realizzare questo progetto di società resiliente, in grado di riallocare le risorse in modo veloce e efficace per affrontare le varie crisi, prevedibili e imprevedibili.

L’unica certezza che abbiamo per il futuro è che ci saranno sempre più spesso crisi imprevedibili: la normalità cambia quando la complessità cresce. Le connessioni arricchiscono le possibilità di ciascuno ma moltiplicano i contagi. Il cambiamento climatico creerà condizioni instabili e trasformazioni ambientali inedite. Le opportunità per criminali, multinazionali e governi porteranno a conflittualità impreviste. Lo scenario stabile desiderato e ipotizzato dal neoliberismo non è realistico. Non lo è mai stato. Lo sarà sempre meno. (IFTF)

La progettazione della società del futuro passa per la moltiplicazione delle opportunità, l’abilitazione dell’innovazione, la ridondanza delle soluzioni alternative, la libertà mentale e l’approccio empirico alla conoscenza. Le ideologie rigide rendono le società fragili. Specialmente quelle che come il neoliberismo generano vantaggi concentrati solo nelle fasce privilegiate delle società. Il pensiero aperto aiuta l’evoluzione, l’adattamento al cambiamento, le mutazioni culturali e l’esplorazione del possibile. Non basta: occorre una discussione vera per guidare la libertà mentale necessaria all’esplorazione del possibile verso una direzione valoriale intelligente. Sostenibilità, inclusione, lotta alla polarizzazione economica e culturale, sono valori dei quali vale la pena di discutere. L’etica che conduce a pensare alle scelte che fanno vincere tutti. L’epistemologia che insegna a far evolvere la conoscenza in modo condiviso. L’estetica della crescita delle capacità umane di vedere il mondo in modo creativo, aperto, empatico. Tutto questo è possibile.

Ecologia è resilienza, evoluzione, opportunità. Valore è valori. Il progetto del futuro è umano. La fine dei preconcetti e degli schemi autolesionistici è possibile.

Andrà tutto bene.

Photo by Chris Barbalis on Unsplash

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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