Qual è il ruolo della scienza e degli esperti nel dibattito politico e nel sistema decisionale contemporaneo? Varie forme di cosiddetto populismo sembrano mettere in crisi la vecchia idea secondo la quale prima si osservano i fatti, poi si interpretano scientificamente e infine si prendono decisioni. I desideri, le emozioni, le credenze diffuse sembrano prevalere sull’analisi scientifica. La media ecology è coinvolta. La crisi dell’ascensore sociale è coinvolta. La strumentalizzazione politica è coinvolta. Ma è coinvolta anche una sorta di crisi di coscienza della comunità scientifica?
Insomma: come si fa a dare torto a mezzo mondo rancoroso e scontento in un contesto nel quale le vecchie formule tecnocratiche non sembrano più generare un percorso di progresso credibile ed efficace? E d’altra parte come si fa a migliorare la scienza che indica la strada: con una serie di pregiudizi e convinzioni astratte anche se convincenti, oppure con una migliore applicazione del metodo scientifico?
È stato un tema di discussione anche ieri a Trento al Festival dell’economia. Questi sono appunti presi in base a quanto ascoltato al Festival.
I fatti sono fatti oppure opinioni?
Gli episodi che dimostrano la guerra contro la scienza del passato non mancano. Come per esempio il mitico passaggio di Newt Gingrich, storico leader repubblicano americano, su CNN durante la campagna elettorale del 2016. La giornalista gli fa notare che i repubblicani esagerano a dare troppa importanza alla criminalità: i dati dicono che la criminalità in America è in diminuzione. Gingrich risponde che gli americani non la pensano così. La giornalista dice che le statistiche dell’FBI dicono che la criminalità scende: questi sono fatti. Gingrich risponde che anche quello che “sentono” gli americani è un fatto: ma come politico dichiara di stare con quello che sente il popolo. Quello che dicono le statistiche è roba da teorici.
È un passaggio nel quale si dimostra incolmabile la distanza tra chi analizza i fatti per ipotizzare in modo razionale un modo per interpretarli da una parte e, dall’altra parte, chi si basa su credenze diffuse. Ma la crescita della superstizione è anche motivata: in politica effettivamente conta quello che le persone sentono. E le persone sentono quello che a loro arriva da un complesso insieme di segnali, fatti di realtà e di racconto. In un periodo di successi, quello che i teorici calcolano può andare bene. In un periodo di difficoltà, quello che i teorici studiano deve in qualche modo aggiustarsi alla realtà. Se resta troppo rigido, rischia di finire nel mirino di chi non apprezza. E una retorica che connette la ricerca teorica all’establishment diventa vincente (LDB à Lyon)
Siamo di fronte a una situazione simile a quella in cui si è trovato chi ha discusso dell’affluenza all’inaugurazione della presidenza di Donald Trump. Le fotografie del parco a Washington dicono chiaramente che ci sono molti spazi vuoti, che invece all’epoca di Obama erano pienissimi. Ma l’ufficio stampa di Trump fa sapere che non c’è mai stata tanta folla all’inaugurazione di un presidente. E Trump l’ha definita un “mare di amore”. Le fotografie attestavano un fatto preciso. Ma Kellyanne Conway, consigliera del presidente americano Donald Trump, disse che si potevano mostrare “fatti alternativi”. Evidentemente basati più sull’emozione che sulle fotografie (LDB su Nòva).
La scienza è un metodo per imparare
David Blanchflower insegna economia a Dartmouth College. Ha dimostrato a Trento che gli economisti non hanno visto la crisi del 2008 in tempo reale, non l’hanno valutata per la sua gravità se non dopo molti mesi, non hanno proposto medicine corrette. E non vedono che siamo di nuovo di fronte a una possibile grave crisi. Al centro del disastro c’è un peggioramento del valore del lavoro che si manifesta con una forte occupazione, una bassa disoccupazione, ma con una enorme sotto-occupazione: gente che vorrebbe lavorare di più e si deve accontentare di lavori saltuari, mal pagati e part-time. Non per niente la gente è arrabbiata. E gli economisti che continuano a rilanciare politiche di austerità non fanno che peggiorare la situazione: dunque chi li critica, anche se in modo poco scientifico, non ha tutti i torti.
Blanchflower ha lavorato alla Banca d’Inghilterra e parla spesso a Bloomberg Tv. Ama andare a pescare e non ha paura di apparire controcorrente. Molti altri economisti ci pensano due volte prima di andare contro le teorie economiche intorno alle quali c’è consenso. Ma è ormai chiaro che c’è bisogno di andare oltre quelle teorie che hanno ottenuto risultati fallimentari, che non hanno visto i danni arrecati al pianeta dalla finanza scatenata, che non riescono a cambiare di fronte ai loro insuccessi. Teorie che rischiano di diventare convinzioni non più scientifiche ma in qualche modo ideologiche.
Non per niente, Robert Johnson ha fondato l’istituto per il New Economic Thinking. Che in sostanza si occupa di sostenibilità – nelle risorse, nella finanza, nella società – e che si è reso conto che il principale aggiustamento richiesto dall’epoca attuale è quello che riguarda la società. Un’economia immersa nella dimensione sociale.
Michael Spence, ha vinto il premio Nobel per l’economia nel 2001 insieme a Joseph E. Stiglitz e George A. Akerlof. Ha insegnato a Stanford, Harvard e Bocconi. Ieri era al festival dell’economia di Trento e ha proposto alcuni importanti punti di vista.
“La legittimazione degli esperti dipende dal contesto” ha detto. Si perde per esempio ogni volta che essi vengono percepiti come “esperti di parte”: si è credibili come esperti se si è indipendenti. “Io, istintivamente, non ho mai accettato di fare l’esperto in una causa antitrust” ha detto “perché sento che perderei la credibilità che discende dal non aver speso la mia esperienza per prendere le difese di una parte”. Certo, quando le cose vanno male è facile prendersela con l’establishment. Il caso del climate change mostra un insieme di esperti che non hanno perso la loro indipendenza, che combattono un establishment, che lasciano ad altri l’advocacy: e per questo, anche oggi, restano credibili. Altri esperti si salvano, come spesso avviene ai medici, agli esperti di cybersecurity, ai banchieri centrali. Gli esperti devono comunque essere responsabili. Non temere di combattere le teorie convenzionali. E coltivare una grande umiltà.
Così, con il tempo, riconquistano la loro credibilità e il loro ruolo.
La società esiste
L’epoca iperliberista avviata da Margaret Thatcher è stata anche segnata dalla convinzione della leader britannica secondo la quale la società non esiste. Invece esiste.
Un’idea – ideologica – ha prevalso nell’epoca iperliberista. Che gli individui siano razionali, che scelgano quello che vogliono e lo facciano, che il loro operato sia tanto più vantaggioso nel complesso per tutti quanto più il contesto nel quale operano è il mercato, la concorrenza. E questo contesto è stato considerato possibile soltanto nelle democrazie liberali nelle quali cittadini razionali scelgono i loro rappresentanti in funzione della loro capacità di intervenire il meno possibile sul mercato, arretrando i compiti dello stato al minimo indispensabile.
Mercato e democrazia funzionavano se gli individui erano razionali e il loro giudizio era indipendente dagli altri in modo tale che in effetti esisteva la “saggezza della folla“. Ma in contesti nei quali gli individui non sono razionali, il loro giudizio è influenzato dall’emotività degli altri, i messaggi sono convenzionali (almeno nelle echochamber), allora non esiste la saggezza della folla (né in statistica né in politica né sul mercato). In contesti fortemente omogeneizzati dalle stesse paure irrazionali, la folla non sceglie più nel modo migliore, ma nel modo coerente con i pregiudizi prevalenti. In ecologie dei media nelle quali i pregiudizi riescono ad aggregare grandi quantità di persone che conseguentemente si comportano in modo convenzionale e prevedibile – come quella che gli algoritmi delle mega piattaforme hanno contribuito a creare – la “saggezza della folla” è distorta (“biased”). Si tratta di convenzioni non disciplinari, vagamente tribali, ma comunque tali da non lasciare gli individui indipendenti tra loro e tanto meno razionali. Sicché la campionatura delle differenze non funziona come sistema decisionale libero ed efficiente. Il mercato viene manipolato dalle varie forme di propaganda sistemica (dall’ideologia iperfinanziaria che nasconde dietro la concorrenza gli enormi monopoli tecno-finanziari) alle forme di propaganda spicciola (marketing ipertargettizzato). La democrazia viene manipolata nello stesso modo. L’idea del consumatore razionale e ben informato, che corrisponde all’idea del cittadino razionale e ben informato, che costituisce la base dell’ipotesi secondo la quale il mercato e la democrazia sono i migliori modi per prendere decisioni economiche e politiche non ha fondamento reale. E quindi le conclusioni cui giunge sono inesatte. Il che non significa rinunciare a democrazia e mercato. Significa cercare equilibri culturali nuovi con meno convenzioni ideologiche.
Equilibri nuovi
Internet sarà regolato, sostiene Spece, perché così non possiamo reggere. Ma alla base dovremo trovare un nuovo equilibrio tra stato e mercato. “Il rispetto dei diritti individuali va bilanciato con il rispetto dei diritti collettivi” dice Spece.
Probabilmente questo avverrà tenendo conto del fatto che non esistono solo lo stato e il mercato. Esiste la comunità. Lo fa notare Raghuram Rajan autore de “Il terzo pilastro. La comunità dimenticata da stato e mercati” (Bocconi Editore 2019). E partendo da qui vale la pena di ricominciare a studiare.
L’economia della conoscenza ha bisogno di conoscenza, non di ignoranza. Ma la conoscenza ha bisogno di ricerca, di umiltà, di combattimento contro le convenzioni e i pregiudizi. Ha bisogno di indipendenza di giudizio. L’establishment ha la tentazione di credere in ciò che fa più comodo al mantenimento dell’establishment. Ma ogni tanto bisogna cambiare idea e cambiare establishment. Il percorso non è necessariamente doloroso. Può essere denso di errori. E va affrontato. Ma se si sa tutto questo vuol dire che l’esperienza conta ancora molto.
La cultura è una risorsa del cambiamento, dell’innovazione, della libertà e della giustizia. Il pregiudizio, tecnocratico o populista, è il contrario del cambiamento, dell’innovazione, della libertà e della giustizia.
Trovare un nuovo equilibrio sembra un puro desiderio. Grazie a Spence, Johnson, Blanchflower e ai ricercatori veri, tutto questo sembra in fondo possibile.
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