Nella foto c’è un vecchio “concept” di robot industriale della cinese Sany Heavy Machinery (IndustryTap).
L’automazione industriale, con robot di nuova generazione, big data per la manutenzione predittiva e il super-just-in-time, le nuove macchine per la produzione additiva e i sistemi di co-progettazione e prototipazione accelerata, iper-customizzazione, è la nuova frontiera della produzione. E a differenza di quanto succedeva in passato, in questo nuovo contesto, il costo del lavoro non è più la variabile fondamentale per la competizione. Molto più importante, per quanto riguarda il lavoro, è la capacità e la cultura delle persone.
Il dibattito sul lavoro, in quel contesto, è aperto. Quasi certamente ci saranno molti più posti per personale molto qualificato. Ma si discute su che cosa faranno gli altri. Si può immaginare che si moltiplichino anche i posti per il personale che lavora nell’indotto dei servizi alla persona o all’entertainment o addirittura all’educazione e così via: questi non saranno necessariamente ad alto valore aggiunto. La scelta sociale sarà, semplificando, attorno al seguente dilemma: in un caso, si preferirà investire in piattaforme per “on demand economy” favorevoli al capitale finanziario, con lavoratori e contractors privi di tutele; oppure si investirà in educazione, qualità del servizio, cooperazione, innovazione sociale, artigianalità, ospitalità, e quindi si potrà mantenere un certo valore aggiunto anche in questo genere di professionalità.
Ma, offuscato dal tema del lavoro in Occidente, non emerge più di tanto il tema strategico. Chi vincerà nella nuova epoca industriale? La Cina manterrà il vantaggio che ha accumulato in questi decenni? L’Occidente si potrà riprendere?
Vivek Wadhwa è certo che la Cina perderà il suo vantaggio strategico: Why China won’t own next-generation manufacturing. E il punto sta proprio nella perdita di centralità del costo del lavoro operaio: se la competizione si giocherà sulle macchine e sulla qualità del personale qualificato che le farà andare, allora nella geolocalizzazione delle produzioni conterà molto di più la prossimità del mercato di sbocco, la prossimità delle università, gli ecosistemi dell’innovazione dai quali si abbevera l’industria, la finanza, il sistema di regole, la tassazione, la stabilità politica, la libertà di impresa, la qualità dell’ambiente e delle città che attirano talenti.
In tutto questo cambiamento, è chiaro che l’Occidente si rigioca una chance di sviluppo che nella fase precedente aveva perduto.
L’America e l’Europa possono ritornare a diventare grandi produttori industriali. L’America ha forse maggiori vantaggi in termini di regole, finanza e mercato di sbocco; l’Europa ha il vantaggio di avere comunque mantenuto una forte produzione industriale anche nella fase più dura della competizione cinese, alta qualità della vita e un grande mercato interno; entrambe hanno personale qualificato e innovazione; l’Europa non ha la stessa stabilità politica e finanziaria degli Stati Uniti. La battaglia competitiva tra Stati Uniti ed Europa si prepara. L’impostazione tedesca dell’industria 4.0 è chiara. Quella americana si sta definendo. Sarà fondamentale pensare strategicamente alla Cina e all’Oriente nella prossima fase: forse saranno meno forti come produttori, ma saranno nel frattempo diventati un grandissimo mercato. Da questo punto di vista, chi pensa che la Cina non abbia chance strategiche evidentemente sbaglia. E le alleanze con i cinesi saranno di grande importanza, in un quadro ridefinito di rapporti di forza.
L’Italia è un piccolo paese, ma non tanto piccolo dal punto di vista industriale. Cercherà di sviluppare le sue grandi abilità nell’industria dei prodotti ad alto valore aggiunto, con forte competenza delle persone e gusto culturalmente unico. Ma dovrà adattarsi al nuovo contesto produttivo perché la rendita di posizione sarà sempre meno sufficiente a difendere i suoi prodotti.
Come abbiamo visto anche su questo blog, l’Italia sta facendo qualcosa di importante in materia. I link qui sotto lo ricordano. Ha avuto una battuta d’arresto ai primi di agosto nella definizione della sua policy. Ma ci si aspetta che i rappresentanti del governo riusciranno a coordinarsi presto per annunciare le misure che il ministro dello Sviluppo ha già disegnato.
Nei prossimi mesi si potrà passare ancora molto tempo sul referendum costituzionale e soprattutto sulle legge elettorale: quelle decisioni saranno importanti, ma avranno effetto dal 2018, a quanto pare.
Per gli italiani, però, sarà ancora più importante il dibattito sul futuro del lavoro, dell’industria, dell’organizzazione dell’amministrazione pubblica a servizio dello sviluppo.
Il digitale è restato nel mondo delle chiacchiere troppo a lungo. E le mancate decisioni – offuscate dall’altisonanza degli annunci – hanno il loro effetto negativo già oggi. Le decisioni consapevoli sull’industria del futuro che verranno prese – si spera – prestissimo, avranno effetto immediatamente: per gli investimenti delle imprese, per la concentrazione dei territori sulle loro missioni fondamentali, per la connessione dell’Italia alle dinamiche competitive globali e per l’avvio di relazioni strategiche internazionali che gli italiani non siano costretti soltanto a subire, ma possano in qualche modo portare anche a vantaggio dei loro punti di vista. È possibile che ci si riesca. Le premesse ci sono. Ma ci vuole un minimo di concentrazione.
Per gli italiani, nulla è importante quanto il futuro professionale dei loro figli. Per il governo, dovrebbe valere la stessa gerarchia di priorità.
Vedi:
Tre cose che cambiano con industria 4.0
I Dati Uniti d’Italia. E altri appunti per un’audizione alla Camera su industria 4.0
Alla Camera per “industria 4.0″. Un bel pomeriggio di politica civile
Squadra per industria 4.0 all’italiana
Confermato: il giorno dell’industria 4.0 non è confermato
A ferragosto pensando al lavoro… Industria 4.0 a cura di Annalista Magone e Tatiana Mazali
Non credo che ciò potrà avvenire nel breve e nemmeno nel medio termine. La Cina ha cominciato da tempo a preoccuparsi della questione e lo ha fatto nel momento migliore quando, cioè, la sua economia non mostrava alcuna debolezza. Sono, infatti, migliaia le aziende cinesi che ogni anno delocalizzano in territori più competitivi dal punto di vista del costo del lavoro Vietnam, Cambogia, Birmania (Myanmar), questo grazie alla forte “pressione” diplomatica (a suon di finanziamenti a finto fondo perduto) che i burocrati di Pechino esercitano in quei Paesi specie in Myanmar dove puntano ad accaparrarsi uno sbocco sul mare a ovest che consentirebbe loro di spostare merci a occidente in tempi più rapidi ed a costi più contenuti. Questo perché, nonostante l’industria 4.0, essi sanno che nel pianeta ci sono ancora zone in via di sviluppo che hanno bisogno dei loro prodotti (entry level) i cui consumatori non si fanno scrupoli circa etica, ecologia, diritti dei lavoratori, etc., etc. In tutto ciò rimangono consapevoli dell’importanza della prossimità del mercato alle produzioni (grazie alle tecnologie dell’industria 4.0). Ma sanno perfettamente di avere (nel raggio di qualche migliaio di Km) la disponibilità di un terzo del mercato mondiale.
sì anche secondo me il più importante dei vantaggi competitivi asiatici è proprio la vicinanza con il mercato più grande e crescente