La cura della salute si avvale sempre più intensamente di internet. Secondo MobilHealthNews citato da Sanofi “nel 2020, 4 milioni di pazienti nel mondo saranno monitorati a distanza e aggiornati in remoto sulle loro condizioni di salute. In Italia il 24% dei pazienti prenota online visite ed esami, oltre la metà dei medici di medicina generale usa WhatsApp e le ricette dematerializzate sono ormai sette su dieci”.
E’ un fenomeno dalle conseguenze gigantesche.
I piccoli oggetti connessi che ciascuno si porta addosso raccolgono dati sul comportamento delle persone, sulla qualità del sonno, sulla quantità di movimento, sulle abitudini dietetiche. E possono fare anche molto di più seguendo tutti gli spostamenti delle persone, conoscendo il loro DNA, imparando a prevedere i loro problemi di salute utilizzando l’intelligenza artificiale nell’interpretazione delle analisi, dei dati, delle caratteristiche del loro ambiente sociale, culturale, economico, ecologico. Questo cambia la conoscenza che le organizzazioni che si occupano della cura – pubbliche, private e sociali – possono avere dei loro assistiti, clienti, associati. Può rendere tutto più efficiente. Può abbattere il costo di sviluppare farmaci. Può abbattere il costo della prevenzione. Di certo cambia il corpo delle persone, distribuisce i dati che le descrivono, connette i network sociali e le loro caratteristiche alla politica della “manutenzione” del corpo, delle comunità, delle organizzazioni. Se tutto questo viene interpretato in modo asimmetrico, concentrando le informazioni in alcune centrali pubbliche o private, il rischio di abusi cresce. Se la conoscenza viene distribuita altre forme di rischio si possono sviluppare, nei casi in cui non sia garantita la cybersicurezza per tutti. Le connessioni e gli standard di dialogo tra i device, peraltro, devono essere gestite in modo consapevole della loro relazione con la salute. E in fin dei conti, anche le informazioni e le notizie che circolano in rete sulla salute vanno in qualche modo migliorate, perché siano indipendenti, complete, accurate, legali e non surrettiziamente al servizio di qualche potentato o interesse.
L’impegno di persone come Eugenio Santoro (Istituto Mario Negri), Lella Mazzoli (Istituto Formazione al Giornalismo, autrice di “e-Health”) e altri che hanno partecipato al recente incontro #MeetSanofi “BooM-Health, la rivoluzione della mobile health” (dal quale è tratta la citazione iniziale) è importante. La politica della salute nell’epoca tecnologica deve fare un salto di qualità. Velocemente. Si può risparmiare e ottenere un servizio migliore. Ma occorre un quadro interpretativo che non lasci il tempo di stabilire posizioni di potere economico o amministrativo a chi può approfittarsi dell’ignoranza o della debolezza altrui.
I temi della privacy, della sicurezza, della libertà sono in gioco. Psicologia, filosofia, economia, sociologia, politica, sono i gioco. Le responsabilità giuridiche sono in via di riallocazione. Big Pharma e Big Data si alleano o si allontanano. La qualità della scienza e della medicina si confrontano con l’urgenza dell’innovazione tecnologica e organizzativa. Si ha l’impressione che se finora il cambiamento è sembrato incalzante, d’ora in poi sia destinato a essere soverchiante. Un salto di consapevolezza è necessario.
La pennicillina e la pillola anticoncezionale – con tutto quello che significavano – hanno cambiato la società. Il Crispr-Cas9 e i big data – immersi in un sistema complesso di nuove condizioni economiche e culturali – possono cambiarla di nuovo. Cambiando l’umanità. Rischiamo di vedere l’1% allontanarsi ancora di più dal resto dell’umanità? Rischiamo di veder saltare i sistemi sanitari pubblici senza che sia emersa un’alternativa valida? Rischiamo di lasciare che aziende e altri approfittino del corpo dei sofferenti per alimentare i loro proprietari finanziari? Oppure possiamo rimettere in ordine il nostro pensiero della cura, portando la cultura ecologica a guidare lo sviluppo, in vista di un benessere più consapevole?
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