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Design dello sviluppo. Sensazioni udinesi

L’Italia è viva e reagisce. A metà. Una parte dell’Italia è agganciata alla trasformazione della società della conoscenza. L’altra parte aspetta che finisca la nottata. Ci si domanda quale prevarrà. Nella narrazione interna, l’Italia sente di avere imboccato una strada di movimento ma lamenta come i suoi vincoli siano ancora pericolosamente seri, tali che la fatica della trasformazione potrebbe ancora prevalere sull’energia. Perché è tanto difficile cambiare l’Italia, ci si domandava. In aggiunta, si sospetta che le difficoltà siano aumentate dal fatto che gli italiani siano intelligenti ma male informati: il che rende meno capaci di andare insieme nella giusta direzione. Ma la domanda latente si può formulare in altro modo: come si possono migliorare le probabilità che i poli avanzati riescano a trascinare l’insieme?

Perché i poli avanzati ci sono. E sono connessi ai grandi scenari delle nano e bio tecnologie, dell’internet delle cose e delle scienze cognitive, dei Big data e della sensoristica. Impossibile segnalare tutto ciò che merita di essere segnalato. Vengono in mente alcuni esempi, dopo una giornata passata a contatto con le persone radunate a Udine per parlare di conoscenza. Nelle vicende della robotica e delle scienze cognitive o nelle biotecnologie c’è molto, compreso l’IIT. A Pisa, e non solo, si fanno grandi passi avanti nella ricerca sui Big Data. A Udine, c’è la magnifica ricerca del gruppo di Luca Chittaro sull’interazione uomo-macchina. E a Padova c’è Lago che per esempio lavora all’open innovation di Banca Intesa, negli spazi di Torino. Nei sensori si fa tantissimo, a partire dall’STM. La Luxottica continua a lavorare per portare la sua competenza di design industriale nell’esperienza dei wearable (Wsj). Alla Biennale l’arte e il futuro stanno dialogando, mentre l’Europa continua a investire nell’esplorazione comune compiuta da scienziati e artisti, come mostra Pier Luigi Sacco su Nòva di oggi. Inserto che peraltro contiene belle inchieste sull’open innovation e sulle frontiere dell’applicazione dei nuovi materiali e tecnologie all’abbigliamento: tema sfidante che gli italiani non si devono far sfuggire.

Disegnare lo sviluppo significa forse abilitare i poli che attraggono talenti e capitali a moltiplicare le risorse che conquistano aprendo strade nuove per tutto il sistema, mentre si fa manutenzione del corpo lento e affaticato che tiene insieme la parte fuori tempo della società: ma soprattutto lo si fa in modo tale che le varie componenti della società siano meglio informate della direzione intrapresa. In fondo, il design dello sviluppo è una narrazione: ma reale, fatta di fatti, concreta e non fuffarola. Perché in questo passaggio tutti lavorano sodo e meritano rispetto, con le loro preoccupazioni, con le loro capacità: gli scienziati e i tecnici veri non hanno bisogno di entrare nello star system ma vanno conosciuti, le persone che lavorano non hanno bisogno di illusioni ma vogliono informazioni realistiche e documentate, la prospettiva deve raccontare come stanno le cose. Che non è il declino. Che non è la musica dell’ennesimo pifferaio che passa dalla Penisola. Lo sviluppo è la valorizzazione contemporanea della cultura degli italiani, della loro intelligenza: il miglioramento dell’informazione intorno a questa realtà è un passaggio chiave. A Udine, al Festival della conoscenza, si è sentito l’effetto confortante di un bellissimo impegno a dare una mano.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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