L’analfabetismo digitale non è una menomazione che affligge chi non sa usare internet e le piattaforme digitali. E non va combattuto insegnando a usare internet e le piattaforme digitali. L’analfabetismo digitale è la mancanza della capacità di produrre attivamente conoscenza attraverso le tecnologie digitali che deriva dalla credenza secondo la quale le tecnologie digitali sono quello che sono e occorre soltanto imparare a usarle. Distinzione troppo sottile? Eppure è da questa distinzione che passa il valore fondamentale: diffondere la cultura digitale per liberare le potenzialità delle persone e non semplicemente per ingrandire il mercato digitale.
C’è chi dice: iniziamo a insegnare a quel 35% circa di italiani che non usano internet l’arte di consultare la rete, di pigiare i bottoni, di toccare gli schermi e così li libereremo dall’analfabetismo. Ma usare le macchine così come sono, adattandosi alle macchine, non è conoscere il linguaggio, la grammatica, le potenzialità dell’internet. E’ semplicemente scoprire una nuova dimensione del consumo. Forse, è come imparare a guidare un’auto: serve, certamente, ma non è un diritto umano. Casomai è un diritto di tutti che chi guida, per esempio, conosca bene il codice della strada e impari il valore del rispetto delle regole. L’equivalente del codice della strada in internet è un sistema complesso di regole, consuetudini, norme implicite nel software, potenzialità tecniche. Può sembrare paradossale, ma diffondere l’utilizzo delle tecnologie non è necessariamente un valore se avviene in modo acritico, lanciando semplicemente nuovi users nelle piattaforme. L’analfabetismo digitale riguarda l’uso critico delle tecnologie, la conoscenza dei loro meccanismi e di ciò che fanno agli utenti, la consapevolezza che le tecnologie digitali sono diverse dalle altre essenzialmente perché si possono modificare e innovare costantemente. Solo così impararle è liberatorio.
E’ come imparare un linguaggio. Non si impara a leggere se non si impara a scrivere e a parlare.
Il giusto combattimento contro l’analfabetismo digitale non è dunque rivolto al 35% dei non utenti per trasformarli in utenti, consumatori, oggetti passivi di un mercato. E’ rivolto alla maggioranza di utenti e non utenti che non riescono a esprimersi attivamente di fronte alle tecnologie. Quindi l’analfabetismo digitale non si combatte con un atteggiamento paternalista, non va corretto con interventi elementari, non va combattuto frontalmente come se fosse sempre e soltanto un fenomeno di sottosviluppo. L’analfabetismo digitale può essere combattuto rendendo migliori le piattaforme in modo che siano sempre più liberatorie, mostrino trasparentemente i loro meccanismi, spieghino bene ciò che fanno delle informazioni che gli utenti vi pubblicano. E diffondendo e facilitando le tecnologie che consentono a chi voglia di esprimersi innovando con il digitale, non soltanto di usarlo. Quindi l’analfabetismo digitale si combatte con rispetto e umiltà nei confronti di chi non usa attivamente il digitale, partendo dal miglioramento delle piattaforme, delle interfacce, degli strumenti. Prima di portare i non utenti a “lezione” è meglio che chi sinceramente crede nel digitale come tecnologia potenzialmente liberatoria si concentri sull’innovazione dell’accessibilità, della trasparenza, della qualità contenutistica.
Perché in fondo, non è l’analfabetismo digitale che conta. E’ l’analfabetismo funzionale che colpisce forse persino più persone e che fondamentalmente riguarda chi sa leggere ma non comprende ciò che legge. Un analfabetismo che non si manifesta nella dimensione tecnica ma in quella culturale. E che si vince non con la diffusione di lezioncine elementari sulle vocali e le consonanti, ma con grandi lezioni critiche. Del resto, coloro che si sentono alfabetizzati – digitalmente e funzionalmente – sanno che quello della comprensione è un processo infinito e profondo. E dovrebbero pensare allo stesso modo quando tentano di includere gli altri nello stesso processo. E se lo si pensa così, allora il combattimento contro l’analfabetismo digitale si tradurrà nel più ampio combattimento contro l’analfabetismo funzionale, al quale gli ultimi decenni di concentrazione sulla televisione commerciale non hanno certo rivolto molta attenzione. Imho.
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Volevamo battere la Corea. Il disordine mentale delle nuove norme su internet ha conseguenze. Occorre una valutazione di impatto digitale
Giovannini. Scegliere il futuro. Basandosi sui fatti
Chiose alla frontiera dell’istruzione informale
Luca, ottimo post. Perché non lo metti su Genius (http://genius.com/) e inviti chi ti segue a discuterlo? Sarebbe un modo per mettere in pratica quello che sostieni.
[…] Nel suo blog Luca De Biase condivide un’interessante riflessione attorno l’analfabetismo digitale, solitamente inteso come l’incapacità nel saper utilizzare dal punto di vista tecnico gli strumenti e le applicazioni digitali. La strategia più diffusa è quella di insegnare a quel 35% di italiani ad utilizzare la rete e a comprendere le funzioni dei dispositivi. Ma l’analfabetismo digitale per De Biase riguarda prima di tutto l’uso critico delle tecnologie. Leggi il post! […]
[…] De Biase, sul suo blog, parla di analfabetismo digitale, da intendere come uso critico delle tecnologie. Secondo lui andrebbe combattuto con rispetto e […]
Il modo migliore per battere l’analfabetismo digitale è offrire prodotti e servizi che forniscano una esperienza utente ben progettata, funzionante e utile.
Le persone non devono imparare il linguaggio della tecnologia, al contrario la tecnologia deve essere messa al servizio delle persone.
[…] Luca De Biase – “L’analfabetismo digitale va affrontato più in nome della cultura che della tecnologia“ […]
[…] della scuola non sono di ordine prettamente tecnico, ma prima ancora culturale. Luca De Biase in un suo post dedicato all’analfabetismo digitale del nostro paese indica principalmente un piano di intervento […]
[…] digitale del nostro Paese è, ahimè, evidente su tutti i fronti. Se, come scrive Luca De Biase, l’analfabetismo digitale va affrontato più in nome della cultura che della […]
Credo che se per analfabetismo digitale si intende conoscere come funzionano determinati programmi, o come implementare una funzione con Matlab, allora credo semplicemente che non sia un analfabetismo. Generalmente buona a parte di internauti non credo serva essere un programmatore per navigare in rete o usare internet per i social o acquisti. La facilità con cui si può navigare credo sia abbastanza intuibile anche dai meno esperti di informatica. Come tutte le cose se si è interessati ad un determinato oggetto o argomento basta fare una semplice ricerca e trovi quello che ti interessa per approfondirla.
Non serve di certo essere geni della programmazione per vedere un video su youtube o fare un acquisto online.