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Volevamo battere la Corea. Il disordine mentale delle nuove norme su internet ha conseguenze. Occorre una valutazione di impatto digitale

Non provo a linkare gli articoli, usciti sul Fatto Quotidiano, sull’Espresso e su altri giornali, relativi alle nuove norme, minacce di norme, disegni, emendamenti e tutto il cocuzzaro che le autorità italiane hanno annunciato nei giorni scorsi. (Se li linkassi potrei rischiare di essere censurato o di pagare qualche multa?). Ne hanno scritto Guido Scorza (chi trova il suo articolo trova anche un elenco dettagliato del cocuzzaro di cui sopra) e molti altri esperti legali. Mi arrischio invece a linkare il pezzo uscito su Forbes che afferma come la Google Tax che gli italiani desiderano introdurre non riuscirà nel suo intento e sarà bannata dalle autorità europee. Lo linko perché sono abbastanza convinto che un giornale americano, dunque di un paese nel quale è probabile che ci sia una certa consapevolezza su come funziona internet, sarà contento di un link e non penserà che mi approprio del suo diritto d’autore.

Certo, a ben vedere, anche i giornali italiani vogliono essere linkati, visto che in tutte le pagine e in tutti gli articoli chiedono esplicitamente ai lettori di condividere su Twitter, Facebook e altri social network i link alle opere soggette al loro copyright. E infatti ho ricevuto notizia dell’uscita degli articoli prima citati dai social network che utilizzo. Non certo perché sono andato sulle loro home page. E in effetti se uno aggrega gli articoli di quei giornali in modo indiretto, cioè aggregando non direttamente i feed ma i link contenuti nei messaggi inviati su Twitter dai lettori o dagli stessi editori, come in un certo senso fa Flipboard, allora nessuno rischia di essere censurato. Per ora.

D’altra parte, gli obiettivi di quelle norme possono essere giusti: salvaguardare il copyright, impedire l’elusione fiscale, aumentare la lettura di libri e così via. Il problema è che mentre tentano di raggiungere quegli obiettivi, quelle norme sembrano rendere più difficile puntare ad altre importanti finalità: alimentare la crescita, aumentare l’occupazione, facilitare l’innovazione. Perché entrano nell’ecosistema internet modificandone alcuni principi fondamentali – come la libertà di link – per impedire la pirateria ma bloccando anche molte attività legali.

È un po’ come la tassa sulle memorie elettroniche: per dare qualche soldo in più alla Siae, fa pagare di più ogni oggetto elettronico dotato di memoria a tutti i consumatori, anche a quelli che non fanno copie di materiali soggetti a copyright. E quindi di fatto ha conseguenze su tutta la filiera del digitale, compresa quella legale, innovativa, favorevole alla crescita e all’occupazione.

Ancora una volta le autorità italiane si sono avventurate in un terreno per loro sconosciuto. Ma hanno sentito il bisogno di fare norme, o almeno minacciarle.

Quelle norme italiane, sull’enforcement del copyright via Agcom, sull’aumento della tassa sulla memoria elettronica via Siae, sulla tassa per proteggere i venditori italiani di pubblicità, sui benefici fiscali per i libri di carta ma non per gli stessi libri in formato digitale, resteranno o saranno cancellate dalle superiori autorità europee. Gli esperti riusciranno a capire come funzionano e a chi veramente si rivolgono. Ma lasceranno ancora una volta un retrogusto preoccupante per i non esperti tra i quali molti penseranno a internet come a uno strumento un po’ pericoloso, popolato di pirati, poco conveniente e comunque difficile da capire. In attesa che qualche giudice o autorità se la prenda con un cittadino massacrandolo per qualcosa che ha fatto e non ha capito che non doveva fare: la legge è uguale per tutti ma si deve poter capire e, se è contraddittoria o iperdifficile, non tutti la capiscono.

In altre parole: se questo stillicidio di norme rende difficile capire come agire legalmente su internet, allora aumenta di fatto l’analfabetismo digitale. Ma tutta la strategia dell’agenda digitale, pensata e progettata per la modernizzazione del paese, si basa sull’ipotesi che l’analfabetismo digitale dei cittadini sia combattuto e limitato, altrimenti l’opportunità non viene colta e il paese non si modernizza.

L’agenda digitale è crescita, occupazione e innovazione. Ma funziona se i cittadini la capiscono. Cioè capiscono internet. E uno stillicidio di decisioni contraddittorie non aiuta.

Occorre assorbire un concetto che l’ecologia ha insegnato per quanto riguarda la salvaguardia dell’ambiente: le decisioni in un ecosistema non si prendono pensando solo a un piccolo aspetto del problema, ma all’equilibrio complessivo. Le microleggi che favoriscono alcuni a danno di molti fanno inquinamento. Prima di fare una legge settoriale su internet occorrerebbe una “valutazione di impatto digitale”.

ps. Chiunque voglia linkare questo post può farlo!

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  • Internet è una sintesi di tante lobby (o nicchie) che coesistono. L’Italia è la sintesi di una continua sopraffazione tra lobby differenti. Appare evidente come questi due ecosistemi siano (sempre?) destinati a cozzare l’uno con l’altro.

  • Ma non si potrebbe mandare i compagnucci del cocuzzaro tutti a lezione di cultura digitale? Con obbligo d’esame finale, però. E se non lo passano ripetono l’anno, ché qui al merito ci teniamo.

    • No, no! Per carità! Se un parlamentare la prende sul serio, poi ci ritroviamo una patente europea del computer bis, con il suo bel carrozzone.

  • il problema è che leggi vanno fatte per disciplinare, correggere, semplificare, chiarire, e non per confondere.
    Proporrei una regola: se si fa una nuova legge, se ne devono togliere almeno altre due.
    In un po’ di tempo si dovrebbero in questo modo eliminare almeno alcuni dei perversi gineprai autoreferenziali di cui è costituito il diritto italiano.

  • Mi riallaccio a quanto dice Flavia segnalando una stranezza sotto gli occhi di tutti: il funzionamento dei parcheggi nelle nostre città, con le macchinette a monete per i biglietti a tempo.

    Queste macchinette sono probabilmente costose da acquistare (stimo 5ke l’una), costose da installare (3ke?) con progetto, fondazioni, cablaggi, posa, costose da mantenere (2ke/anno?) per il prelievo periodico delle monete, la manutenzione, i consumabili, la eventuale telemetria, ecc… Non consideriamo i vandalismi cui sono sottoposte, i guasti e le riparazioni. Non consideriamo neppure l’intralcio che creano ai passanti, o la sporcizia prodotta dai biglietti usati, o la difficoltà da rendicontare, o il “mercato” di poveracci che si sviluppa per il recupero dei minuti residui.

    Come fanno altrove? Mettono dei semplici cartelli, nelle varie zone parcheggio, con dei numeri di telefono, diversi per ogni zona. Tu parcheggi, e mandi un SMS con la targa della tua auto al numero che vedi nel cartello. Il sistema ti applica una tariffa conforme al tuo mezzo (esempio se hai una targa censita come disabile non paghi) e ti da’ un quanto di tempo di parcheggio. Paghi con il costo del SMS e funziona anche se sei in roaming.
    Quando mancano 10 minuti alla scadenza, ti arriva un SMS che ti chiede se vuoi rinnovare per un altro slot. Questa è la cosa più comoda così non devi interrompere una riunione che si prolunga per “andare a mettere altri soldi nella macchinetta”.
    Quelli che non hanno il telefono e/o non sanno mandare SMS, possono comprare un gratta e parcheggia dal tabaccaio.

    I vigili passano con un palmare, leggono le targhe (con la camera del palmare) e fanno le multe a coloro che non figurano.
    A me pare una cosa estremamente semplice, e che peraltro fa anche molto smart-city.

    Perchè noi no?
    Per la potenza delle lobby di chi vende o noleggia le macchinette? (forse)
    Per la arretratezza degli operatori mobili? (ma dai)
    Per la arretratezza dei nostri enti locali nel non voler cambiare? (può darsi)
    Per mancanza di un disegno comune accettato da tutte le parti politiche? (senz’altro)

    Ora, se la facciamo, NON ha senso fare 10.000 implementazioni indipendenti in altrettanti comuni, che sarebbe quello che ogni comune vorrebbe fare. Occorre farla a livello nazionale, e fare una gara a cui partecipano le mobile telco per dare il servizio. E mandando un sms ad un numero (perchè no sempre lo stesso ovunque) l’operator ci geolocalizza via celltower e assegna la tariffa. Volendo si potrebbe fare una bella campagna di marketing, e mettere negli sms verso gli utenti un piccolo url ausiliario.

    Se qualcuno ci vuole lavorare io ci sono.

    Marco

  • […] Luca De Biase, “Volevamo battere la Corea. Il disordine mentale delle nuove norme su internet …: Quelle norme italiane, sull’enforcement del copyright via Agcom, sull’aumento della tassa sulla memoria elettronica via Siae, sulla tassa per proteggere i venditori italiani di pubblicità, sui benefici fiscali per i libri di carta ma non per gli stessi libri in formato digitale, resteranno o saranno cancellate dalle superiori autorità europee. Gli esperti riusciranno a capire come funzionano e a chi veramente si rivolgono. Ma lasceranno ancora una volta un retrogusto preoccupante per i non esperti tra i quali molti penseranno a internet come a uno strumento un po’ pericoloso, popolato di pirati, poco conveniente e comunque difficile da capire. In attesa che qualche giudice o autorità se la prenda con un cittadino massacrandolo per qualcosa che ha fatto e non ha capito che non doveva fare: la legge è uguale per tutti ma si deve poter capire e, se è contraddittoria o iperdifficile, non tutti la capiscono. […]

  • Tutti d’accordo ma la domanda è: ma tu come super esperto insieme ad altri che ci stai a fare se questo è il risultato?

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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