Ho firmato una petizione per chiedere ai parlamentari e al Capo dello Stato di fermare l’approvazione della nuova legge sulla diffamazione. Non mi importa molto delle sanzioni che cambiano: tolgono il carcere e aumentano la multa. Se uno è colpevole di diffamazione va punito nel modo più giusto. Mi importa di più della confusione che la nuova legge introduce, una confusione pensata per mettere tutti coloro che scrivono in una condizione di dubbio paralizzante. Riguarda i giornalisti e per certi versi riguarda tutti coloro che pubblicano in rete.
I giornalisti che fanno diffamazione commettono un reato più disgustoso delle persone che fanno diffamazione e non sono professionisti dell’informazione: perché i giornalisti che fanno diffamazione tradiscono il loro compito sociale. E vanno puniti dopo un giusto processo. Stroncare la disinformazione a mezzo stampa è un obiettivo sacrosanto.
La diffamazione è un reato che – riassumendo non da tecnico ma da praticone – significa questo: diffama chi rende pubblico un fatto falso che danneggia qualcuno. Chiaro? Non è diffamazione dare dello str**zo a qualcuno (quella è ingiuria). Non è diffamazione la critica delle idee di qualcuno sulla base di altre idee. Ma soprattutto non è diffamazione rendere pubblico un fatto vero che danneggia qualcuno.
Pubblicare i fatti è una libertà inalienabile e poter leggere i fatti è un diritto fondamentale. Purché siano fatti veri, documentati, verificabili. E purché la pubblicazione sia accurata. Insomma purché siano notizie e non disinformazione. Chi segue un metodo di ricerca dei fatti e pubblica ciò che ha modo di documentare correttamente (non è un “sentito dire” da una sola fonte, non è una copiatura da una fonte internet, non è un documento del quale non si sa il valore) non fa diffamazione anche se danneggia qualcuno. Se è accusato di diffamazione si può difendere dimostrando l’accuratezza di quello che ha fatto. Ma con la nuova legge non può più farlo.
La nuova legge impone a chi ha scritto qualcosa di pubblicare una replica da chi si sente danneggiato senza potersi difendere. Perché?
Inoltre, la nuova legge introduce un confuso diritto all’oblio nei confronti di chiunque pubblichi qualcosa sul web. Che non c’entra nulla con la diffamazione. E che non c’entra nulla con il diritto all’oblio. Questo è il diritto a far togliere dai motori di ricerca l’eccesso di riferimenti a fatti veri che danneggiano qualcuno e che però sono superati dagli eventi. Non è il diritto a eliminare le fonti primarie delle notizie ma di avere una corretta ed equilibrata immagine digitale. Confondere questa questione con la diffamazione rischia di creare condizioni di paralisi senza uscita per chiunque pubblichi qualcosa che contenga un nome e cognome. Da questo punto di vista, la legge è un generatore automatico di controversie.
Ripeto. I giornalisti che fanno diffamazione commettono un reato più disgustoso delle persone che fanno diffamazione e non sono professionisti dell’informazione: perché i giornalisti che fanno diffamazione tradiscono il loro compito sociale. Vanno puniti dopo un giusto processo. Spero che diventi sempre più raro ma se succede occorre che quel comportamento sia sanzionato. Ma questa norma assurda sul diritto all’oblio riguarda tutti e non solo i giornalisti. Perché? Tra i firmatari della dichiarazione c’è un grande sostenitore del diritto all’oblio come Stefano Rodotà: segno che questa cosa non c’entra con il diritto all’oblio. C’entra con la volontà di fare della legge sulla diffamazione uno spauracchio tanto confuso da intimorire a chiunque scriva qualunque cosa dando più potere a chiunque si senta danneggiato e meno o nessun potere a chi pubblichi notizie scomode.
Il link al testo della petizione e alle firme dei primi sostenitori su “nodiffamazione“.
Update: grazie alla pazienza e chiarezza dell’avvocato Carlo Blengino posso spiegare meglio la diffamazione. La corretta attribuzione di responsabilità per la diffamazione implica una costante tensione tra il diritto alla salvaguardia dell’onore e della reputazione e la libertà di espressione che tutela l’interesse collettivo alla diffusione dell’informazione e delle idee. Pubblicare un fatto anche vero ma privo di rilevanza per la collettività, per una ragione inutilmente malevola, è diffamazione. Ma se la notizia di quel fatto vero è rilevante per l’interesse generale, e la notizia è pubblicata senza inutile cattiveria, allora vince la libertà di espressione: anche a fronte di una oggettiva lesione alla reputazione, non vi è diffamazione.
Carlo ha aggiunto: “Le parole sono armi, e chi le adopera per professione ben sa che verità e falsità hanno confini labili ed incerti: chi fa cronaca ed in generale informazione dovrebbe sempre tener presente che ogni suo pezzo è potenzialmente lesivo dell’onore della reputazione di terzi coinvolti, e dunque in nuce diffamatorio. E ad ogni pubblicazione dovrebbe chiedersi, conscio di ledere l’onorabilità di qualcuno: sto esercitando
legittimamente un diritto fondamentale nell’interesse della collettività? Se la risposta è sì, non avrà nulla da temere, né multe né galera. Se persegue altri interessi, beh, mal gliene incolga. Detto questo, la nuova legge sulla diffamazione a mezzo stampa è un disastro e val bene firmare #nodiffamazione”
Vedi anche:
La legge sulla diffamazione non va bene, di Luca Sofri (Il Post, Wittgenstein)
[…] che sufficienti per la maggior parte delle situazioni. Non vanno modificate a caso (vedi ad esempio #nodiffamazione). E probabilmente vanno rese ancora più chiare e stabili, con la bussola ispirativa dei diritti […]
[…] semplicemente cosa va e cosa non va in questa legge. Adesso vedo che Luca De Biase ha scritto una cosa sensata e articolata che vi consiglio, e approfitto per aggiungere qualcosa. Scrive intanto De Biase, ed è una […]