La storia dell’idea dei diritti dell’umanità, centro generativo della cultura illuminista, è ricostruita da Vincenzo Ferrone nel suo gran libro, pubblicato recentemente con Laterza.
«La soluzione dell’enigma dell’illuminismo sta per larga parte racchiusa nella scoperta e nella sua appassionata lotta a favore dei diritti dell’uomo» dice Ferrone. Più che un movimento filosofico o intellettuale, l’illuminismo è stato una rivoluzione culturale. «Attraverso i suoi insegnamenti sulla necessaria identificazione dell’io nell’altro per conoscere se stessi, sulla pietà che suscita la sofferenza del proprio simile, la cultura illuministica portò a maturazione il riconoscimento del principio della sostanziale unitarietà del genere umano e allo stesso tempo dell’esistenza di civiltà e culture dissomiglianti da noi, rivendicandone però la piena digità umana».
Alla radice, ovviamente, un pensiero che cercava le sorgenti della verità indipendentemente dai diversi percorsi religiosi. Ma dichiarandone sostanzialmente legittimo l’impegno. E quindi arrivando a una sorta di metodo della conoscenza “enciclopedica”, dell’informazione fattuale e della convivenza politica che resta alla base di molti tentativi di migliorare la qualità della vita delle persone nel pianeta. Il concetto di diritti dell’umanità passa attraverso diverse fasi, alcune ideologiche altre giuridiche, mantenendo però la sua forza emozionante e pacificante.
Scriveva Claude Lévi-Strauss: «La nozione di umanità, che include, senza distinzione di razza o di civiltà, tutte le forme della specie umana, è di apparizione assai tardiva e di espansione limitata. Proprio là dove sembra aver raggiunto il suo sviluppo più elevato, non è affatto certo – come prova la storia recente – che sia stabilita al riparo di equivoci e da regressioni. Ma per vaste frazioni della specie umana e per decine di millenni, questa nozione sembra essere totalmente assente. L’umanità cessa alle frontiere della tribù, del gruppo linguistico, talvolta perfino del villaggio; a tal punto che molte popolazioni cosiddette primitive si autodesignano con un nome che significa gli “uomini” sottintendendo così che le altre tribù, gli altri gruppi, o villaggi non partecipino delle virtù – magari della natura – umane».
Una cultura dei diritti che fin dalle origini si presenta come un disvelamento di una realtà “naturale”. Non a caso Thomas Jefferson scrive – a 33 anni – che i diritti umani incisi nella dichiarazione d’indipendenza del 1776 erano verità inutili da spiegare perché “self-evident”. Insomma, quelle verità erano chiare e sotto gli occhi di tutti: anche se paradossalmente ci era voluta la luce dell’illuminismo per mostrarle.
Le prime pagine del libro di Ferrone catturano. Il resto è intenso, informativo ed equilibrato. Ma è una lettura importante in un momento in cui la necessità di ridefinire i diritti umani nell’epoca trasformativa di internet è diventata un compito importante di diverse istituzioni, in Italia e nel mondo. Tim Berners-Lee parla di una Magna Charta della rete. Alla Camera dei deputati si parla di Internet Bill of Rights. Nomi emozionanti che peraltro vengono da reminescenze pre-illuministiche (la Magna Charta è del XIII secolo e il Bill of Rights del XVII). In passato si è parlato anche di un concetto più settecentesco come la Declaration of the Independence of Cyberspace di John Perry Barlow (1996) che tenta di dimostrare la costruzione di un nuovo mondo nel quale il codice tecnologico e il codice dei diritti (almeno uguaglianza ed espressione) coincidono e che consente alle leggi nazionali di continuare a governare i corpi delle persone ma non le loro menti.
Ma, come nel XVIII secolo, l’idea dei diritti umani è generativa di conseguenze a largo raggio e spinge incessantemente per la realizzazione di politiche innovative, per lo sviluppo di conoscenze documentate e per la creazione di condizioni più giuste in nome della dignità umana. Ferrone aiuta a focalizzarsi sulla dinamica che dalla rivoluzione culturale contagia la politica e il resto. Ma in qualche misura sfida a vedere nei diritti all’epoca di internet una nuova fase di riequilibrio delle relazioni tra istituzioni e cittadini: sono le istituzioni che si adeguano e si mettono al servizio dei diritti, non viceversa. Le tendenze del capitalismo internettiano e dei governi interventisti sulla rete sono spesso poco sincrone con la salvaguardia e lo sviluppo dei diritti umani: ma viene un giorno in cui una cultura rinnovata riesce a farsi comprendere e a imporsi alle logiche tradizionali del potere. Lasciando dietro di se principi e pratiche costitutive di una migliore convivenza civile. La ricerca è in corso. La difficoltà grandissima. La speranza inesauribile.
Commenta