Nel 2000 il 75% delle informazioni era raccolto sulla carta, sulla plastica magnetica, su altri supporti analogici e solo il 25% era in digitale. Nel 2013, l’analogico è ridotto al 2% mentre il 98% delle informazioni è registrato in digitale. Lo dice Martin Hilbert, Annenberg School for Communication and Journalism, della università della Califonia del Sud.
Mayer-Schönberger Viktor e Cukier Kenneth citano questi numeri nel loro Big Data, un libro che offre un panorama completo di uno dei cambiamenti più profondi che si sta verificando nel sistema della conoscenza contemporanea. Se ne parlava anche su Nòva. E ieri, al Festival della letteratura, se n’è avuto un assaggio raccontato da Mayer-Schönberger davanti a una platea straordinariamente attenta e numerosa.
Si tratta di un cambiamento nella pragmatica della conoscenza. I dati sono più numerosi, facili da trovare e meno costosi da archiviare. La fine della scarsità dei dati non riduce il rispetto del loro significato e non annulla la necessità di una profonda consapevolezza epistemologica. Ma certamente favorisce una pratica della sperimentazione matematica alla ricerca di pattern emergenti e correlazioni, piuttosto che un ricorso all’approccio basato sui campioni statistici, le ipotesi causali a priori, le teorie in attesa di verifica. «Meno why e più what» sintetizza Mayer-Schönberger.
Si tratta di un cambiamento economico, perché lo sfruttamento dei giacimenti di dati è un grande valore per le mega compagnie che li raccolgono ma anche per le startup che ne individuano nuovi utilizzi.
Ed è un cambiamento etico-politico, perché rende necessario ed evidente il bisogno di nuovi meccanismi a tutela della privacy, dice Mayer-Schönberger, perché impone maggiore consapevolezza della possibilità di nuove forme di indagine da parte dei servizi segreti o degli esperti di marketing, perché cambia le modalità sulla base delle quali si decide insieme: meno ideologicamente e più empiricamente.
Le storie contenute nel libro sono importanti, divertenti, affascinanti. Ma il dato dei dati è chiaro: la digitalizzazione è avvenuta. E non se ne andrà. Prenderne atto è il primo passo per affrontare i problemi conseguenti e cogliere le opportunità emergenti.
Vedi anche i seguenti paper:
The danger of big data: social media as computational social science
A MATLAB Toolbox for Browsing, Exploring, and Viewing Large Datasets
Distributed Parallel Architecture for “Big Data”
ecco che cosa la EU dovrebbe chiedere agli USA di fare con il “biggest data of all” per salvare la liberta’ e dare enorme stimolo all’economia:
http://www.slate.com/blogs/future_tense/2013/08/26/nsa_s_data_should_be_available_for_public_use.html
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