Esplorando Ada, un giornale dedicato a temi di genere, media e tecnologia, si incontra una quantità di ricerche importanti, tra le quali questa di Sarah Kember sulla relazione tra femminismo e tecnologia. Si avverte la preoccupazione dell’autrice nei confronti di una cultura che non sembra riuscire a difendersi dall’avanzare di una pratica della vita quotidiana meccanizzata e commercializzata. Kember dichiara la sua convinzione che le metodologie femministe siano fatte per intervenire e reinventare e fare la differenza nei processi che sembrano andare avanti in automatico.
E in effetti la cultura della ricostruzione dopo i disastri generati da fenomeni considerati inarrestabili – l’esempio classico è la guerra – è storicamente un portato pratico fondamentalmente femminile, a partire dall’educazione e dalla riorganizzazione della città. Il problema oggi è come questa cultura affronta l’esempio meno classico della crisi finanziaria che come la guerra sembra lasciare dietro di se le macerie di sistemi tutti da ricostruire.
I fenomeni che appaiono inarrestabili o indipendenti dalla capacità di intervento di ciascuno non lo sono in teoria e cessano di esserlo in pratica nel momento in cui si allarga la consapevolezza.
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