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Microapple…

Dicono che la Microsoft voglia diventare una piccola Apple. Il discorso di Steve Ballmer starebbe a dimostrare che l’idea di vendere software e hardware integrati, tipica della Apple, si stia facendo strada nella mentalità del gigante del software che aveva sempre puntato in una direzione molto diversa. (Reuters, Verge)

Probabilmente la storia non è proprio questa. Del resto, anche Google comprando Motorola aveva fatto pensare di voler diventare a sua volta un produttore integrato. Ma anche in quel caso la storia resta diversa.

Certo, il valore aggiunto che la Apple riesce a generare con la sua struttura integrata è invidiabile. Ma ricordiamoci che si diceva il contrario quando ad essere invidiato era il valore aggiunto che la Microsoft generava con il semimonopolio dei sistemi operativi. E che si è sostenuto il contrario anche quando Google ha scelto la strada “soft” per competere contro l’iPhone rilasciando Android.

Pragmaticamente, non c’è una regola giusta a priori. Ma di certo c’è qualcosa da imparare.

In condizioni di standard fondamentali non proprietari, come internet, le piattaforme private cercano di costruire sottoinsiemi proprietari nei quali agire come monopolisti creando forme di lock-in. Ma le alternative comunque ci sono. E quindi in questo senso chi fa solo software di base si trova un po’ meno avvantaggiato di chi riesce a connettere al suo software anche una strategia hardware.

Ma non è sempre così. Un caso almeno dimostra che non è questa la fine della storia. Facebook infatti non è (ancora?) entrata nello hardware: eppure il suo lock-in funziona molto bene. Anche se non genera (ancora?) un gran valore aggiunto. Sta di fatto che la sua piattaforma di apps potrebbe svilupparsi per consentire a Facebook di valorizzare di più il suo miliardo di sottoscrittori.

Forse si può dire che i modelli ibridi sono meno convincenti di quelli più puri? Non è del tutto vero neppure questo a giudicare dal fatto che Google e Microsoft vanno comunque in modo piuttosto diverso.

Il tema è che oggi competono le piattaforme. E queste sono fatte da insiemi di hardware, software e servizi molto complessi. Tendono a reggere la loro base molto bene quando hanno raggiunto una grande massa critica. E fanno profitti. Ma la loro innovazione non è facile da leggere e casomai si può dire che quando si incarna in un oggetto si può comprendere meglio anche per chi non la usa. Mentre un’innovazione solo di software si comprende solo se la si usa. L’iPhone ha mostrato immediatamente di essere un’innovazione fondamentale. Come del resto il Kinect nel suo mondo. Meno semplice è comprendere la Timeline. O Google+. Forse questo aiuta a creare uno hype che va oltre l’insieme degli utenti.

Non è però l’unica ricetta per lo hype. Anzi. Conta il design e la visione che lo motiva. Da questo punto di vista, il grande cambiamento alla Microsoft potrebbe aver bisogno di essere sostenuto da una migliore elaborazione della motivazione culturale che lo spiega per renderlo anche – per così dire – affettivamente attraente. Il lock-in funzionale, su internet, è meno rilevante del lock-in culturale. Un’occhiata al video di Simon Sinek potrebbe dare qualche spunto:

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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