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Semplificazione: questione di metodo e prospettiva

Per quanto riguarda la riforma del sistema italiano, la parola chiave a quanto pare è semplificazione. Si tratta di sciogliere la matassa di norme che bloccano il funzionamento della convivenza. Norme incoerenti, sedimentate nei decenni, pensate da politici che si facevano rappresentanti di singole categorie, difese da coloro che da quelle regole sono protetti. E diventate un muro che difende se stesso.

Sembrano i diritti medievali che l’impero o il papato concedevano a particolari corporazioni, città, territori, feudi, comunità. Frappongono dazi e cancelli alla libera circolazione delle idee e delle azioni conseguenti.

IL messaggio sintetico della giornata di ieri organizzata da ItaliaStartup per presentare il rapporto della task force sulle misure da prendere per facilitare la nascita di nuove imprese è stato essenzialmente: semplificare è possibile.

L’idea insomma si diffonde. Matteo Renzi ne ha scritto.

Probabilmente in Italia non è facile semplificare. Diversi governi hanno avuto una figura di ministro della semplificazione, che per quanto consta, non ha diminuito la complessità e neppure la banalità del difficile rapporto tra cittadini e sistema pubblico.

Ma se si sente dire che in Svizzera passano 4 giorni dal momento in cui si chiede un chiarimento su una modifica edilizia e il momento in cui si riceve una risposta, tanto per fare un esempio, si immagina come debba essere prendere iniziative in un contesto più semplice.

Certo, una volta che si sia complicato un sistema è difficile semplificarlo. Ma la questione non è solo importante: è diventata anche urgente. E il consenso che raccoglie è enorme.

L’approccio per farcela non può più basarsi sull’elencazione delle singole semplificazioni che richiede lenzuolate di misure il cui unico effetto è quello di attivare le singole categorie che si sentono minacciate lasciando freddo l’insieme della popolazione. Fino a che il tema è affrontato in questo modo, i pochi che credono di perderci molto riescono a bloccare decisioni che i molti sentono un piccolo vantaggio. Occorre fare una coalizione diversa: nella quale la popolazione si senta insieme di fronte alla necessità di semplificare il sistema e non separata in categorie e tribù.

Che cosa abbiamo insieme? I fatti, le regole, la prospettiva. L’ecosistema. I beni comuni. Che cosa ci divide? L’ignoranza su come stanno le cose, gli interessi di corporazione, il disorientamento nei confronti dell’approccio al futuro.

La prospettiva che costruiamo è sempre il luogo mentale nel quale possono convergere le contrapposizioni corporative. Ma gli italiani hanno maturato troppo cinismo per credere ai politici che raccontano la prospettiva in modo ideologico, fumoso, irrazionale, interessato. E’ ora di fare un discorso più empirico, basato su fatti condivisi, verificabile, metodologicamente corretto.

Chi riesce a rappresentare l’insieme di ciò che abbiamo in comune batterà chi si ostina a rappresentare gli interessi particolari che ci dividono in una società di minoranze. E’ una questione di metodo, raccontato con senso della prospettiva. Imho.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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