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L’equilibrio del copyright

libro_dirittirete.jpgIl diritto d’autore è un monopolio concesso in deroga alla libera concorrenza per valorizzare il lavoro di chi crea nuova conoscenza e ha assunto le forme oggi note per motivi legati a un modello di business nel quale la tecnologia consentiva di legare fortemente un’opera a un oggetto. Nel contesto digitale e soprattutto nell’economia della conoscenza questo aspetto è venuto meno. Mentre la riproducibilità degli oggetti stessi è diventata sempre più facile, non solo nel mondo digitale (come ben sanno i designer).

In questa trasformazione si mettono in gioco diversi interessi e diritti. Il problema di riformare il sistema si pone da tempo. Ma la difficoltà di riuscirci sta nel fatto che l’innovazione delle regole in questo settore non può emergere correttamente se non seguendo un approccio equilibrato tra le diverse istanze. Al contrario, si osserva una tendenza a far valere punti di vista diversi: la forza delle lobby dei detentori dei diritti d’autore tradizionali, la consapevolezza dei sostenitori dei diritti di espressione e libertà d’informazione, le situazioni di fatto che si creano grazie all’innovazione tecnologica, i comportamenti illegali ma considerati da molti nella società legittimi. La soluzione non può essere unilaterale. Non si può continuare ad allungare la durata del diritto d’autore perché questo lede il diritto di tutti alla ricchezza del pubblico dominio. Non si può rallentare l’innovazione per difendere un sistema più adatto a un diverso contesto tecnologico. Non si può peraltro lasciare che gli autori restino senza alcuna difesa. E non si può neppure far prevalere il monopolio sulla concorrenza.

Il diritto d’autore come è stato concepito finora non è l’unico modo per valorizzare il lavoro degli autori. Ne parlava Neelie Kroes qualche tempo fa. Gli editori devono innovare se non vogliono perdere il loro valore dal punto di vista tecnologico. Gli autori devono cercare nuovi interlocutori per il loro modello di business. I governi devono gestire il passaggio con equilibrio.

A questo è dedicato una parte del libro “I diritti nella rete della rete” (Giappichelli 2011) che contiene i contributi di Franco Pizzetti, Laura Ferola, Marco Orofino, Oreste Pollicino, Manuela Siano. Oreste Pollicino, in particolare, scrive: «Si impone dunque la ricerca di soluzioni che non disconoscano il valore dell’ambiente digitale entro il quale si svolge oggi una gran mole di interazioni (anche) giuridiche, ma piuttosto vi intravedano un’inaspettata opportunità per realizzare in modo più efficace le finalità sottese al diritto d’autore. Proprio quel diritto d’autore che vede minacciate le proprie fondamenta dall’avvento di nuovi strumenti di condivisione può in essi trovare sotegno alla sua missione di progresso sociale». Niente censure e niente blocchi all’accesso a internet, dice Pollicino, ma innovazione tecnologica, culturale e legislativa.

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  • Ciao Luca.
    Sto pensando di investire circa 7mila euro per far tradurre dal francese un bel libro su storiografia e corporeità. In più l’autore ha chiesto 1.000 € per autorizzare la traduzione, cioè per assicurarsi uno straccio di guadagno dal suo lavoro. Poi naturalmente io ci sto mettendo il mio lavoro, il tempo/costo di un redattore editoriale, il costo di alcune immagini. Poi ci sono le royalties non banali che mi chiedono ibook, amazon ecc per i loro circuiti di vendita (il libro è elettronico).
    Insomma sono un (orrendo) microeditore. Al di là delle fumose cose che leggo, al di là del fatto che – a quanto pare, ma io finora non me ne sono accorto – il mio eventuale pubblico sarebbe fatto non di consumatori ma di produttori (quanti soldi, quanto lavoro e quanto rischio ci stanno mettendo e ci metteranno i miei cosiddetti produttori?), a quali condizioni e attraverso quali strumenti potrò pensarmi come microimprenditore e non come mecenate? Potrò e dovrò contare soprattutto sulla bontà umana, sull’etica diffusa per cui si accetterebbe di pagare ciò che si usa? Diffusa? Dovrò sentirmi in colpa e usurpatore monopolistico di beni comuni se cerco di evitare che questo eventuale libro sia di fatto riproducibile gratuitamente e all’infinito da chiunque? In che senso la versione italiana di questo libro – da me resa possibile – è un bene comune? Chi ha condiviso e condivide con me – come il concetto di bene comune implicherebbe – costi e rischi?
    Insomma questi 10mila euro circa a quali condizioni posso provare ad immaginare che NON siano un dono? Qualche modello concreto ? Sottinteso: non credo alla prevalenza statistica della bontà nei comportamenti sociali, ovvero non credo che spontaneamente, senza qualche vincolo a farlo, la maggioranza del mio pubblico di produttori preferirebbe pagare piuttosto che copiare.
    Aggiungo: l’autore francese non ha né voglia né i mezzi né le competenze per prendere su di sé – anche solo in parte – il rischio imprenditoriale di questa edizione italiana. Lui è un intellettuale dunque non rischia. Però gli fa maledettamente piacere che le sue cose siano lette in un paese dove si legge sempre meno il francese. Per lui, ricevuti i suoi 1000€, che poi il suo libro venga riprodotto all’infinito è solo un piacere e un successo.
    Come la mettiamo? In concreto? Nel micro? Non con grandi e nobili e fumose affermazioni generiche? O con i luoghi comuni che girano e che costruiscono con il ripetersi una sorta di evidenza precritica e tutta ideologica? O con grandi analisi macroeconomiche sui vantaggi per l’economia collettiva, ma che non tengono conto delle microazioni economiche dei singoli attori economici?
    In sintesi: cosa può giustificare razionalmente che io spenda 10mila € in un quadro di non protezione di fatto dei mio prodotto?

  • Le edizioni :duepunti di Palermo hanno aperto una piattaforma digitale che si chiama hypercorpus e che ragiona precisamente su queste e altre questioni (qui una sorta di manifesto-riflession articolata, “fare libri oggi”: http://www.duepuntiedizioni.it/hypercorpus-home/fare-libri-oggi/), mettendo parte del loro catalogo in open access, provando a riflettere su una semplice questione: come sarà l’editoria del futuro? Ragionando anche sulle microazioni economiche dei singoli attori economici.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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