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Morozov sui DDoS e la disobbedienza civile

Evgeny Morozov si è lanciato in una discussione che va assolutamente ripresa. Non perché sia facile comprendere “da che parte stare”. Ma perché il suo valore è decisivo per la concezione che noi possiamo avere dell’innovazione sociale. Che avviene per via istituzionale, ma anche per via di protesta e di dissenso.

Morozov propone di riflettere sui DDoS, gli attacchi che con la tecnica del denial of service, bloccano certi siti come forma di protesta contro il loro comportamento. È una tecnica e come tutte le tecniche può essere usata per molti scopi diversi. È stata usata per attaccare Twitter che ospitava le opinioni di un dissidente georgiano (si pensa da parte dei suoi nemici, forse legati a qualche potentato russo). E negli ultimi tempi è stata usata per attaccare i siti delle piattaforme che come Amazon, PayPal, Mastercard, hanno smesso di consentire ai sostenitori di Wikileaks di leggere le informazioni o di offrire contributi monetari.
Nel caso di questi ultimi, per Morozov si è trattato di atti simili alla disobbedienza civile, come occupare un palazzo o picchettarne l’entrata. Hanno avuto l’effetto di portare in galera alcuni di coloro che si pensa li abbiano compiuti: e la galera è parte integrante del significato dell’azione. Dice infatti Morozov che la galera è sempre la conseguenza di un’azione illegale, ma nell’azione di disobbedienza civile motivata da un’istanza “politica” la galera è ciò che ripristina l’equilibrio della convivenza e garantisce nello stesso tempo rispetto per il significato dell’azione. Questo ha senso nei paesi autoritari, ma anche in quelli democratici: il dissenso è dissenso e può essere rivolto anche a una parte del sistema democratico che secondo chi protesta democratica non è. Si può non essere d’accordo, si può essere infastiditi dall’azione, chi la compie va in galera: il suo messaggio viene testimoniato.
Il problema, dice Morozov, è che la sanzione sia proporzionata all’azione. Se chi occupa un palazzo fa qualche giorno di fermo e chi compie un DDoS va dieci anni di galera, c’è una sproporzione che va sanata. 
Dice Morozov che la reazione delle democrazie a quanto è avvenuto in seguito alla pubblicazione da parte di alcuni giornali ufficiali delle informazioni pubblicate su Wikileaks è sproporzionata. E che è necessario riflettere sulle conseguenze di tutto questo. 
Certo, tutto dipende dalla metafora con la quale si descrive il DDoS. Se è disobbedienza civile vale il discorso di Morozov. Se è vandalismo il fatto può invece essere considerato diversamente. La metafora conta. Qual è quella giusta?
Ma un fatto è certo. La riflessione sul modo in cui le democrazie stanno reagendo al fenomeno Wikileaks è doverosa e necessaria. Per fare avanzare la democrazia e la libertà di espressione, per non lasciare che la convivenza civile e le sue regole vengano stravolte dalla necessità contingente di chi è disposto da buttare il buono che c’è nell’innovazione dell’informazione della quale la rete è un abilitatore insieme al cattivo che inevitabilmente consente.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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