La questione dell’agenda in base alla quale si stabiliscono le priorità di un dibatitto pubblico è tanto più centrale quanto maggiore diventa la capacità dei potenti di governare i mezzi e i contenuti con i quali fanno credere che ciò che è importante per loro è importante anche per gli altri.
In certe fasi storiche, però, la distanza tra l’agenda definita dai potenti e quella vissuta dai cittadini è intollerabilmente grande.
Ecco alcuni appunti per un paper che si rivolge a questo problema, da un punto di vista forse improbabile. Si passa per la nozione di “diplomazia scientifica“.
Gli studi su “Scienza, Tecnologia e Società” hanno dimostrato bene che una maggiore partecipazione pubblica nel processo decisionale su questioni tecnico-scientifiche, o quantomeno una partecipazione più significativa rispetto a quella tradizionale, migliora non solo il valore pubblico della scienza e della tecnologia ma anche la loro qualità. Il modello partecipativo si contrappone al modello “decido, annuncio, difendo”. Le attività di partecipazione pubblica su questioni che riguardano scienza e tecnologia, per funzionare, devono necessariamente rispettare alcuni requisiti:
-i partecipanti devono rappresentare la popolazione e devono essere indipendenti;
-i partecipanti devono essere coinvolti nelle prime fasi del processo decisionale (upstream engagement) e non alla fine quando comunque non possono che sancire una decisione presa da altri (errore fatto qualche anno fa dal programma britannico GM Nation sugli ogm);
-l’impatto delle attività partecipative deve essere reale, deve avere conseguenze tangibili;a
-i partecipanti devono essere coinvolti in modo trasparente, devono avere accesso a risorse e compiti definiti.
Fin dagli anni ’80 del Novecento ci sono state molte iniziative finalizzate alla “democratizzazione della scienza”. Poche a dire il vero, fino a questo momento, sono riuscite a rispettare i requisiti descritti sopra. Di conseguenza le esperienze di successo sono ancora relativamente limitate.