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Il mito dell’obiettività nei giornali…

L’ennesima storia di una giornalista di una testata americana che deve dimettersi per aver manifestato un’opinione personale su Twitter. In nome dell’obiettività del giornale, pare, che è molto simile a un mito. E Mike Arrington con il solito piglio semplice chiede più opinioni, non meno, da parte dei giornalisti.

La posizione più chiara è quella di David Weinberger che ha sostenuto come sul web la nuova forma dell’obiettività è la trasparenza. Meglio dichiarare le proprie opinioni piuttosto che nasconderle…

Naturalmente è un dibattito molto antico. Gli scienziati sociali hanno spesso fatto ricorso alla trasparenza per sostenere liberamente le loro idee, con un approccio generoso verso i lettori, ma senza per questo rinunciare alle regole metodologiche fondamentali della ricerca. I fatti e il modo in cui si trovano, le ipotesi e il modo in cui si verificano, le teorie e il modo in cui si elaborano e falsificano, destano alla base della ricerca.

L’equilibrio in questo settore del pensiero è molto delicato. Solo un buon metodo di ricerca dei fatti puó fondare un buon dibattito di opinioni. (E ci puó difendere tra l’altro dalla falsa obiettività di pubblicare tutte le opinioni, anche quelle espresse da persone potenti ma del tutto prive di rapporto con la realtà, e orientate solo a manipolarla). Imho…

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  • L’opinione personale di cui si parla è l’endorsement di un capo di un’organizzazione terroristica che predica e persegue la distruzione di Israele e dei suoi alleati, tra cui il Paese di cui la suddetta giornalista è cittadina. Quanto alla trasparenza, mi va bene, però che lo sia davvero: la suddetta giornalista, quando parla di Hezbollah, magari citando i suoi proclami, dovrebbe dire: dovete sapere che io ritengo che Hezbollah sia un’organizzazione da ammirare. Invece questo non avviene con questi giornalisti: la Nasr si è fregata perchè pensava che su Twitter nessuno l’avrebbe sgamata, mai che abbia detto le stesse cose in un servizio dal Medio Oriente. Ma evidentemente i servizi erano fatti in modo da fare passare il messaggio su Hezbollah conforme all’opinione personale del giornalista. Questa si chiama manipolazione, non opinione.
    Il posto per le opinioni, nei giornali e nei media americani c’è, si chiama “Pagina degli editoriali”, sezione degli Op-Ed, eccetera. Lì chi scrive dice chiaramente che quella è la sua opinione. Nel resto del giornale, si pretende che il giornalista si attenga ai fatti e citi tutte le opinioni, e non si appropri dell’autorevolezza del giornale per cui scrive per far passare i suoi cazzi personali (o del suo clan o dei suoi protettori, tipo D’Avanzo con sapete voi chi). Tanto difficile da capire ? Quella è la trasparenza.
    Quanto alla storia che solo i potenti vogliono manipolare la realtà, è ridicolo. Ogni giornalista dovrebbe avere ben chiaro che tutti, lasciati a se stessi, tirano l’acqua al proprio mulino. I potenti sono tali perchè ci riescono. Weber direbbe che sono diventati potenti perchè ci sono riusciti.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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