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Ottimismo, tecnologia, design

Ecco VeniceSessions: Design the future.

Justin McGuirck, direttore di Icon Magazine. “Il motivo per cui si può creare qualcosa è l’entusiasmo. Lo era quando tutto era da costruire. Lo è ora che abbiamo tutto. E ci manca l’ambiente pulito, il senso critico, comprensione della velocità cui siamo condannati dalla tecnologia… Ma ci manca l’utopia… La sostenibilità è l’essenza della vita ma è anche un nuovo dogma che sembra ridurre il romanticismo. La paura ci blocca, la paura della catastrofe o la paura dell’impopolarità… Dobbiamo governare un ritorno all’ottimismo. Il design thinking è considerato una soluzione. Il design influenza ogni azione. Come? La chiave è il potenziale del design come disciplina. Potrebbe rimpiazzare le discipline umanistiche? E’ troppo tecnico. Il problema è non lasciare che il design diventi qualcosa di troppo nebuloso. Il metodo del design è una pratica, una disciplina, più che una materia di studio. Bruce Sterling dice che nel nostro mondo gli oggetti esistono come ‘dati’ e si materializzano se li ‘stampi’ e l’internet delle cose aumenta la maneggiabilità dei dati prima e invece di stamparli. Una sorta di ‘personalizzazione di massa’. Per avere una comprensione di un cambiamento del genere occorre in effetti un pensiero generale, un design senza barriere, multidisciplinare, una disciplina che pensa sintetico. Non c’è una conclusione netta: ma un atteggiamento di fondo è necessario. Ottimismo… Arrabbiarsi è un modo per conoscere. E pensare che si possa superare la causa dell’arrabbiatura”.

Tra i motivi di arrabbiatura e la soluzione che possiamo trovare per c’è un pensiero. Una ricerca. Una tensione utopistica. Il processo creativo del designer, una disciplina, una generazione di senso.
Guta Guedes, cofondatrice di Experimenta in Lisbona. “Non sono un designer, il mio lavoro è quello del catalizzatore. Sono curatrice di iniziative che raccontano il design. Il design ha vissuto una trasformazione profonda, il design è la disciplina che risponde alla globalità del problema di una società che è giunta al fondo di una fase storica. Il mio ottimismo non viene da una fede ma da un dato di fatto: una lettura della nostra storia. La globalizzazione, la nuova forma dello ‘spazio’, e i media, la nuova forma del ‘tempo’, sono i parametri della grande trasformazione che viviamo. Design è una metrica, è un tool box, una conoscenza flessibile: che forse consente di portare conoscenza che abbiamo sviluppato in un mondo a un altro mondo. Con la crisi finanziaria la gente ha scoperto il valore della cultura. Il design è il ponte che può portare la cultura nella vita quotidiana e nella nuova economia della quale abbiamo bisogno. Disegnare il futuro: tecnologie che entrano nel corpo, popolazioni diseguali, sostenibilità. Non ci sarà uno scenario radicale: ci sarà un merge di scenari perché il primo obiettivo dell’umanità è sopravvivere… Design come disciplina per organizzare il mondo”.
Design come disciplina dotata di una sua ricerca, libera come l’arte, di una capacità di generare visione e di verificare le idee con un metodo.
Aldo Colonetti, filosofo, Ottagono, Ied. “Un mondo che non c’è ancora. Un cambiamento culturale. Una disciplina come il design carica di responsabilità. Ma il design ha un significato solo se è connesso con la produzione industriale. Visione e industria, come ‘verifica’ della visione. Il design più che una disciplina è un mestiere. E cito in proposito Richard Sennett che ha dedicato un libro all’uomo artigiano. Ma, in questo paese la cultura industriale non è intesa come conoscenza. Olivetti: la forma come comunicazione. Il design ha bisogno della verifica e della cultura industriale, ma fa diventare questa una forma di conoscenza e di comunicazione. Non può essere una sola disciplina è una governance di creativi, culture, mestieri e diverse competenze. Il design è il nostro paese: il nostro paese è dotato di una diffusione territoriale di piccole imprese che di fatto fanno design: non c’è però nessuna relazione tra le istituzioni e il design come elemento propulsore delle potenzialità economiche del nostro paese. Il fatto è che non abbiamo educazione a riconoscerlo: ma chi sta sul mercato sa che il design è il generatore di valore del quale gli imprenditori fanno ricchezza. Oggi è ancora più così. Sintesi? Renzo Piano manda i suoi giovani nel cantiere. E poi li fa firmare”.
Il design è ricerca: sperimentazione – libera come l’arte – teorizzazione e verifica!
Elio Caccavale, designer. “Design the future? Macchè… Il presente è abbastanza eccitante e non occorre parlare del futuro. Il futuro è già qui: non è distribuito in modo equo, diceva qualcuno… Io mi occupo di design pensando alle sollecitazioni che vengono da bioetica, life sciences, sociale sciences, technology. Imparo la ricerca degli scienziati e i tecnologi e tento di dare un contributo… Per esempio quelli che impiantano i chip e gli rfid nel corpo e tento di reagire… Ne è venuto fuori, per esempio, il neuroscopio… Ma non c’è nulla di più affascinante del lavoro delle aziende che clonano gli animali (non si può clonare un uomo ma un animale sì, affascinante…)… Ne vengono fuori idee e speculazioni, scenari… Design della famiglia del futuro… la form da compilare per avere il materiale necessario alla riproduzione… pensando alle caratteristiche della famiglia e della progenie… Scenari… scenari… E la storia di Ian Mucklejohn… Privacy e proprietà del corpo… cose che fanno pensare e che hanno bisogno di un design…”.
Stefano Mirti e Bruna Cortinovis, Id Lab. Interaction design. “Sennett dice che l’artigiano sa quello che fa ma non sa dire quello che fa. Oggi abbiamo un sacco di gente che non sa fare ma lo sa dire molto bene. Un progetto? ‘Per divertirsi fino a morire’. La rovina verrà da quello di cui abbiamo paura? No: quello che ci piace ci porterà alla rovina. Sembra di essere in un quadro di Esher: complessità e fascino… Il museo è un medium che racconta le storie della collettività. Dove la cosa interessante non è il cosa ma il come… Il museo Olivetti è una storia straordinaria… La visione, l’artigianato tecnologico, la verifica…”.
Un dittatore illuminato disegna per tutti? Oppure un facilitatore che abilita una società a far emergere il disegno che è capace di generare?
Joseph Grima, designer. “Le tecnologie consapevoli del luogo in cui si trovano possono avere un impatto sulla trasformazione della città. Come? iPhone per esempio uccide la guida di viaggio. Uccide il libro dei numeri di telefono della città. Ma diventa un’istituzione alternativa. Il che si vede particolarmente nelle città non organizzate da istituzioni analoghe prima, per esempio quelle giapponesi”.
Un design delle conseguenze impreviste. Disegnare l’oggetto che ridisegna la città è probabilmente impossibile. Le sue conseguenze impreviste sono invece reali. Probabilmente il dittatore illuminato si deve porre gli obiettivi giusti. E per esempio creare oggetti perfetti che altri useranno in modo imprevisto, generando conseguenze incontrollabili e non progettabili.
Giacomo Pirazzoli, architetto. “Un’immaginaria architettura del futuro raccontata dai Jetsons è diventata architettura reale nel mondo. Intanto, il 95 per cento del mondo vive altrove. In un contesto da ‘terzo mondo
‘. Come l’Albania. Memoria e disegno della città. Il museo recuperato”.
Il design può essere profondamente guidato ma avrà sempre conseguenze impreviste sui sistemi che non controlla. Una bizzarra bellezza del design ben fatto è di ispirare conseguenze impreviste a loro volta bellissime. Qualcosa rende un particolare design capace di ispirare questo genere di conseguenze. E’ genio, ascolto, abilità artigiana, verifica: ricerca aperta e concretezza umile.

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  • Stimo molto il design come cultura di sintesi tra progettazione e creatività, temo la visione tuttologa.. Nella maggior parte delle innovazioni il design arriva a conti fatti. Direi che vale come la ciliegina sulla torta. Se poi bisogna considerare design anche l’inventore dell’idea, allora credo si stia parlando di un altra storia, lunga e che difficilmente riuscirà a cambiare per desiderio di cambiarla. Dagli interventi sembra che l’aspetto visionario stia prendendo il sopravvento degli adepti. All’atto pratico, se proprio si volesse esser pignoli, tutto questo mix tra funzionalità, arte, linea di senso non è riscontrabile (famosa verifica), se non la funzione comunicativa, che a volte colpisce nel segno, altre è una spirale di moda e voglia d’effetto.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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