Design per le persone, non per gli utilizzatori… Per le persone, non per i consumatori… Insomma, perché quello che si disegna sia adatto alle molte dimensioni della vita delle persone non finalizzato soltanto al gesto di chi compra o usa un oggetto preconfezionato… il design delle funzioni impreviste, del sorriso regalato… imnotauser forse contiene queste intuizioni…
02/03/2010 20:28
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I’m not a user
02/03/2010 20:28
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Sono perfettamente d’accordo con chi ha scritto il blog! I AM NOT A USER! Da oggi voglio più essere chiamato utente 🙂
C’è un interessante parallelismo con i servizi sociali: “user” sta sempre più stretto anche da queste parti, tanto che qualcuno li vorrebbe addirittura “prosumer”. Un approccio laterale molto stimolante.
Pensare e progettare per le persone non è cosa facile. Per aiutarci nel nostro lavoro dobbiamo necessariamente costruire dei modelli che servono a interpretare quello che ci circonda. Da questa esigenza nascono concetti come quello di “consumatore”, sulla cui riduttività si è già espresso Giampaolo Fabris più di un decennio fa, e come quello di “utente”.
Purtroppo i modelli interpretativi, soprattutto se tendono a perdere progressivamente il contato con la realtà, invece di strumenti utili possono diventare gabbie o, peggio, simulacri con cui troppo facilmente rischiamo di sostituire la realtà stessa.
Mi associo – quindi – a quanto scritto nel blog di Pietro Turi e rivolgo un appello alla comunità dei designer. Alziamo, ogni tanto, la testa dal nostro monitor. Usciamo dalle sale riunioni in cui pontifichiamo su come potrebbero o dovrebbero comportarsi gli “utenti”. E cominciamo ad osservare le persone vere, senza aver paura di prendere in considerazione la loro complessità e, perché no, la loro imprevedibilità.
Questo è vero “Human Centered Design”. Il resto è puro esercizio accademico…
Sarei d’accordo al 100% se la questione si limitasse al ‘disegno’.
Da sviluppatore quale sono [quindi penultimo anello della catena] non posso non sottolineare che innanzitutto che uno user diventa ‘persona’ nel momento in cui mi chiede di esserlo;
In primo luogo perchè la ricchezza delle nostre diversità è tale da diventare irrealizzabile un modello di interazione differente una volta usciti dall’ambito di design HCI.
In secondo luogo a volte l’utente ha voglia [o l’esigenza] di veder risolto il suo bisogno senza che la questione venga condita da elementi indesiderati o non espressamente richiesti.
Un esempio lampante è il come si è modificata la risposta di sistemi operativi come Windows a partire dalla release XP. Nell’apprezzabile tentativo di adattarsi alle esigenze degli ‘utenti’ XP spostava le icone dei programmi in base alla frequenza di utilizzo. feature apprezzabile, ma destabilizzante. quindi ci siamo dovuti adattare ad u’interfaccia che a sua volta cercava di adattarsi…non so ma in tutto questo ci vedo qualcosa di perverso: è come se la mia macchina decidesse per me quale marcia igranare per anticipare i miei [inespressi] desideri….
Pietro ha ragione! La parola utente è troppo limitante: mi rendo conto che non sia facile progettare per le persone però il valore di un’idea pensata per un essere umano piuttosto che per un utente è incomparabile!
Vi avviso. Partirò da molto lontano. Dalla fine del 1800, per la precisione. Thomas Edison era un geniale inventore e imprenditore americano. Quasi tutti lo ricordano oggi come il padre della lampadina, ma in pochi sanno che dai suoi laboratori vennero fuori anche il primo strumento per registrare suoni e la prima macchina da ripresa cinematografica.
Il fonografo e il Kinetoscopio non ebbero però grande fortuna.
Il primo fu venduto per registrare la propria voce al posto della carta negli uffici ma uscì sconfitto al momento della nascita dei dischi musicali, che ne imposero un uso più ludico ma ancora oggi predominante.
Il secondo prevedeva che i film fossero visti da una singola persona alla volta, che doveva stare in piedi a guardare nel buco dello strano apparecchio. Qualcosa di ben lontano dall’esperienza collettiva che pochi anni dopo venne fuori dal genio dei fratelli Lumière.
In entrambi i casi l’inventore della tecnologia, che pensava in laboratorio con un’ottica “user” dando appunto un uso molto pratico alle sue invenzioni, fu spazzato via da chi seppe allargare i suoi confini a modalità finora inespolate, guardando alle persone. Ben oltre un secolo dopo, ancora ricadiamo negli stessi errori?
Io ho anche la maglietta 🙂
http://www.iamnotauser.com/index.php/t-shirts/
Sono completamente d’accordo con Pietro.
All’inizio del processo di design, sappiamo che le persone per cui progettiamo sono accomunate dal fatto che usano o useranno un certo artefatto, sono “utenti”. Il nostro lavoro è scoprire chi sono, cosa li gratifica, cosa li frustra, cosa li stimola, quali sono le loro aspirazioni e i loro obiettivi ecc.
Dovrebbe essere scontato che ogni utente è una persona, sostituire “utente” con “persona” mi sembra una sconfitta. Mi infastidisce che professionisti della progettazione* stiano a chiedersi se si progetta per le persone o per gli utenti. Mi scandalizzo anche un po’, francamente. Per chi fa questo lavoro dovrebbe essere ormai un’ovvietà.
Mi rendo conto che il mio discorso suona poco realistico, che se dico “UCD“ il mio interlocutore pensa che ho sbagliato l’acronimo di un partito politico, che spesso gli utenti non ce li fanno vedere neanche in foto, che c’è bisogno di ribadire con forza che non si può progettare basandosi sui pregiudizi sugli utenti. Insomma, vivo nello stesso mondo in cui vivete voi e queste cose le so. Credo però che i committenti devono essere educati a capire la differenza tra utenti generici e persone. Spieghiamo il nostro metodo ai nostri clienti, ai nostri datori di lavoro e ai nostri colleghi**. Coinvolgiamoli nella progettazione. Illustriamo le tecniche che stiamo usando. Forse riusciremo a fargli vedere la persona che sta dietro l’utente e a rendergli chiaro perché per noi è tanto importante.
*Non mi riferisco a Pietro che sull’applicazione dei principi dello User/People/Human-Centered Design mi mangia in testa.
**Non userò la parola “evangelist” neanche sotto tortura.
Io sono completamente d’accordo con Pietro! @Silvia, la parola utente lasciamo al secolo scorso…