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Errore costruttivo a Illywords

Ho ricevuto il nuovo numero di Illywords. Nell’editoriale, Ariella Risch, gentilissima, parte dal riconoscimento di un errore e lo trasforma in un’occasione di riflessione molto importante. Bellissima prova di intelligenza. Quanti errori fanno gli altri giornali. E non conducono a un pensiero.

Per chi pensi alla vita come a una ricerca, l’errore è un elemento fondamentale del percorso. Peraltro richiede un criterio di verifica. La verifica può essere sul funzionamento di un processo, sul deragliamento di un programma, o sulla non conferma di un’ipotesi.
Nell’epoca della conoscenza, molte realtà si trasformano: da fenomeni meccanici, lineari, di funzionamento, diventano almeno in parte percorsi di sperimentazione. L’errore, dunque, diventa ancora più costruttivo.

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  • Contemplare l’errore ma ancor più ammetterlo, non solo come responsabilità conseguente la propria carica professionale, è la premessa indispensabile per ogni progetto di ricerca, qualsiasi sia lo scopo. L’errore è la condizione di possibilità.
    Uscendo dalla dimensione etica (che è più di etichetta morale) dell’omissione dell’errore per motivi reputazionali, importanti, ma come i giochi di facciata di Goffman, è la pretesa al dovere dell’esattezza che elicita manodarnalità. Per quanto le contemporanee epistemologie aprono al principio dogmatico della confutazione (errore) come condizione necessaria per la validità conoscitiva di un programma di ricerca, come mai nelle sfere del diritto, la segretezza o privacy comincia a prevalere sul diritto di esser informati e informare? Ho spostato l’argomento nel dibattito sulle intercettazioni è evidente. Ammettendo anche che il danno arrecato da un’informazione falsa in reputazione sia molto più alto di quello ripristinabile una volta che la verità emerga con diritti di replica e rettifica (tutto da dimostrare poi), non si riesce a comprendere come mai per garantire una sorta di ossequio all’esattezza bisognerebbe rinunciare sia alla ipotetica verità che alla possibilità d’errore. Questo sembra dire il sondaggio Ipsos Pa, oggi su il Sole 24 Ore, che le persone siano più propense a non sapere piuttosto che sapere per prove ed errori. Questa invocazione della privacy finché asattezza sia, è l’ultima falsa ideologia creata “per tutti” ma sostanziata da un 17,4% di paranoici. Non difendo pubblicazioni per istinti pruriginosi ma pensare che per quattro sconfinamenti abusivi della privacy siamo entrati nel must segretezza è un prezzo troppo alto. Alzato comunicando malattie inesistenti solo per mettere in produzione cure.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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