Sono d’accordo con Aghenor. Nelle pieghe della parola “innovazione” c’è l’idea di “nuovo”. E non è detto che “nuovo” sia sempre “buono”.
Del resto, i tempi sociali sono una sovrapposizione di breve, media e lunga durata: fatti, congiunture, strutture.
Molto spesso innovare significa recuperare il senso della lunga durata e i fenomeni che vengono dal passato e vanno verso il futuro, proprio perché più duraturi. Proprio perché fondamentali.
Aggiungerei che per capire occorre sempre fare un bilancio tra ciò che si guadagna e ciò che si perde. Spesso non ci badiamo, spessissimo la somma è positiva, ma sapere cosa si perde è importante.
Questo vale anche per i processi: mi sorprende sempre vedere quanto poco si facciano bilanci sui progetti strategici; essenziale per misurarli. Spesso misuriamo l’input, ma non diciamo nulla sull’output,
Mi spiego con un classico: tecnologie nella scuole xmila docenti formati; xmila Pc introdotti. Zero informazioni su come è cambiato il modo di insegnare, sulla quantità di contenuti creati, etc.
Ciao Luca
se posso aggiungo una voce che magari può non centrare nulla con l’innovazione, ma per me ci sta.
Ieri in radio ascoltavo distrattamente l’intervista al rappresentante degli istituti scolastici del Lazio. Distrattamente fino a quando non ha detto la cifra che ogni istituto percepisce all’anno per attività didattica: 3500/4000 euro circa. E da quest’anno con quei soldi ci devono pure stampare le pagelle. Ora sul web parliamo tanto di banda larga, di digital divide, di conoscenze e cultura, di innovazione, ed è giusto. Rimane il fatto che è proprio dalla scuola che tutto questo deve partire e rimane il fatto che questi devono arrangiarsi con 4 mila euro all’anno. Innovare vuol dire anche riuscire a far si che magari l’anno prossimo i soldi siano di più? molti di più? a presto 🙂 michele