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Critiche al sistema dei brevetti

I brevetti non sono l’unico e forse non sono il migliore sistema per tutelare l’invenzione. Lo dice uno studio pubblicato su Science e realizzato tra gli altri anche da una ricercatrice della Bocconi.

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Comunicato stampa del 06/03/2009 12:00

Piu’ invenzioni se aboliamo i brevetti

Secondo un paper pubblicato oggi su Science, di un team guidato da Debrah Meloso della Bocconi, un nuovo sistema di retribuzione per inventori e ricercatori è più efficace nello stimolare la creatività intellettuale.
Il sistema ultra centenario dei brevetti frena l’innovazione e per stimolare nuove idee bisognerebbe abolirlo a favore di un nuovo metodo di retribuzione per gli inventori. Questa la conclusione a cui giunge lo studio ‘Promoting intellectual discovery: patents versus markets’ condotto da Debrah Meloso (Università Bocconi) con Jernej Copic (UCLA) e Peter Bossaerts (Caltech), pubblicato oggi su Science. Secondo i ricercatori, un sistema dove gli inventori possono comprare e vendere sul mercato titoli dei componenti chiave delle loro scoperte supera infatti il sistema ‘il vincitore prende tutto’ dei brevetti nello stimolare curiosità e creatività intellettuale. 


Partendo dal presupposto che il sistema dei brevetti ha dei limiti dal momento che premia solo il primo, i ricercatori hanno ideato una serie di esperi! menti per mettere a confronto il sistema dei brevetti e le forze di mercato sul modo in cui influenzano la propulsione delle persone ad inventare. 

I ricercatori hanno svolto l’esperimento noto come il “problema dello zaino” (“the knapsack problem”) in cui i partecipanti hanno un numero di oggetti superiore a quello che lo zaino può effettivamente contenere e la sfida è trovare la soluzione per massimizzare il valore degli oggetti che si riesce ad inserire. 

Per vincere con il sistema basato sui brevetti era sufficiente indovinare la soluzione prima degli altri. I ricercatori hanno però notato che questo approccio disincentivava gli altri giocatori nella ricerca della soluzione. Nel sistema basato su un regime di libero mercato, invece, i partecipanti guadagnano quanto più sono in grado di individuare anche singole parti della soluzione del problema. Come in una borsa virtuale, infatti, i titoli! dei singoli oggetti salgono o scendono di valore a seconda se! fanno p arte o meno della soluzione ovvero se entreranno o meno nello zaino. Chi avrà acquistato titoli di uno o più oggetti contenuti nello zaino realizzerà quindi un guadagno anche se non sarà stato il primo a individuare la soluzione. 

I ricercatori hanno calcolato che con il sistema dei brevetti solo il 17 % dei partecipanti all’esperimento dello zaino raggiungeva la soluzione mentre con il sistema della borsa virtuale la percentuale saliva al 27% e i giocatori si impegnavano sempre di più nella ricerca di soluzioni diverse. 

“Le persone sono consapevoli che le scoperte sono difficili e sono più motivate se sanno che i premi non sono esclusivamente per i primi,” spiega Meloso, docente presso il Dipartimento di scienze delle decisioni della Bocconi. “E la promozione di un numero più ampio di idee e di grande beneficio per la creatività intellettuale e può essere stimolata ! tramite dei mercati creati su misura.”

Secondo i ricercatori, infatti, per stimolare l’innovazione si potrebbe dunque pensare ad un sistema di retribuzione non più basato sui brevetti ma dove le persone detengono titoli dei componenti delle loro invenzioni. Per esempio, gli scienziati impegnati nello studio sulle celle a combustibile che pensano che il platino sia il migliore catalizzatore potrebbero acquistare dei future sul platino nella consapevolezza che una volta che la loro invenzione diventa di dominio pubblico il loro investimento crescerebbe di valore. Il presupposto per il funzionamento di questo sistema sarebbe l’introduzione di mercati per tutti gli oggetti potenzialmente componenti di scoperte future. 

Tale sistema lascerebbe così intatta la motivazione di altri scienziati a continuare a lavorare ma premierebbe comunque i primi perché acquisterebbero i titoli al prezzo minore. Gli inventori sarebbero ! anche incentivati a divulgare al più presto le loro sco! perte pe r fare crescere il valore dei loro titoli, accelerando così lo sviluppo di applicazioni basate sulle nuove scoperte.

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  • Quelli delle Business School non hanno ancora capito che l’economia non è una scienza esatta e che, al più, può dare spiegazioni per il passato, con modelli in gran parte poco applicabili nel futuro e impossibili da considerare di fronte a eventi nuovi come l’attuale crisi globale dove, sia gli scienziatini degli MBA e i fighetti delle società di consulenza, non sanno che cosa fare.
    L’unica costante economica che guida l’uomo è il desiderio di fare soldi e che lo porta a una spasmodica caccia all’innovazione e, ovviamente, al desiderio di possesso esclusivo della stessa.
    Quelli della Bocconi dovrebbero farsi un paio di settimane presso un consulente di brevetti per capire che non hanno capito niente dell’animo umano, che non è dissimile da quello del cane con il suo bell’osso, ben deciso a ringhiare contro chi glielo voglia portare via.

  • Che i brevetti sono ormai un limite all’innovazione penso sia assodato, l’uso che si fa degli stessi è l’esatto contrario dello scopo per cui erano stati “inventati”, ma la conclusione dello studio mi sembra quanto meno fantasiosa. Io invento una cosa e l’unico modo ho di monetizzare la mia invenzione è comprare future sulle materia prime con cui verrà prodotto il manufatto che ho progettato? Ho dei dubbi che possa funzionare.
    Nota: ho parlato di manufatto non a caso i brevetti su idee, software e cose non concrete in generale andrebbero aboliti.

  • Caro Luca,
    interessante e in linea con qualcosa che stiamo sviluppando e verificando qua in Cina all’Italian Center: una sorta di “borsa dei brevetti” che consenta ai cinesi di selezionare / acquistare / condividere brevetti (o parti di esso) non cinesi e passare alla loro industrializzazione (e viceversa).
    Industrializzare un brevetto necessita di molti costosi supporti e spesso di diversi pezzi ( altri brevetti) che solo attraverso un WIN – WIN attivo si riescono a trovare a costi contenuti.
    Fino ad ora solo le Multinazionali erano in grado di comprare i diversi brevetti della filiera, diventando così unici proprietari.
    Ma questo processo è molto costoso e praticamente fuori della portata di qualsiasi PMI.
    Va sottolineato come i cinesi hanno interesse che i brevetti “girino”, producendo un effetto continuo di replica ed aggiornamento, in grado di sviluppare evoluzioni migliorative del precedente, stimolando la competizione innovativa.
    Questo consente di creare parecchie aziende, aumentando la ricaduta occupazionale, oltre che la possibilità di creare spazi di crescita personale e di “esportazione”, per esempio in aree più povere ( in Cina e in altri paesi in via di sviluppo)
    Tra l’altro la stessa Cina ha dichiarato guerra al pagamento delle Royalties ai brevetti occidentali di qualsiasi tipo (Mobile, industriali, spaziali etc..)
    Non solo, molti progetti di cooperazione cinesi si basano proprio sul “baratto”, finanziamenti operativi ed infrastrutture, spesso governativi, con la condivisione del brevetto o della conoscenza condivisa.
    Ovviamente all’inventore, colui che ha generato il tutto, vanno garantiti ritorni economici in qualche maniera collegati ed ecco la sperimentazione, quella che cerca di evitare il fenomeno classico da queste parti, della contraffazione o peggio della copia, giocando proprio sul fatto che il primo che registra, piglia tutto.
    Ma i cinesi, popolo pratico, sa che è evidente che chi ha inventato ha anche la “capacità” di innovare il proprio brevetto. Per farlo deve però essere tutelato in qualche maniera e quindi va “tenuto a bordo” sui ricavi futuri.
    Non solo: il brevetto, in quanto descrive puntualmente il come fare, da queste parti è un fenomenale “strumento di formazione”, in grado di spiegare come fare le cose, diffondendo così la conoscenza contenuta.
    Non è causale che ora i cinesi stiano pubblicando a livello di ricerca più degli americani, è connesso con questo desiderio di definire punti fermi di una innovazione condivisibile, secondo uno schema cooperativo, fatto per loro normale.
    Credo molto che quindi vadano cambiate le “regole” ingessanti di un passato fatto di cose e non di idee ed immaterialità e soprauttutto non fatto di cooperazione ma di semplice proprietà esclusiva e quindi non virtuosa.

  • Francamente mi pare una cagata. Ogni sistema di lock-in e compra vendita sulle idee frena l’innovazione.
    Nel momento in cui hai inventato qualcosa hai un vantaggio temporale sul mercato. Quando questo vantaggio è svanito devi inventarti qualcos’altro. Questa è innovazione, il resto sono chiacchiere.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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