Amazon cerca una leadership culturale anche nella moda. Ha costruito una “ricerca” con la partecipazione di veri studiosi e visionari tecno-progettisti per esplorare le relazioni tra intelligenza artificiale e fashion design. Il punto di partenza è un insight che ha senso segnalare: moltissimi creativi veri usano sempre di più le reti sociali per esplorare trend emergenti. Niente di strano. Ma l'”edeologia” tecnocentrica applicata a questo punto di partenza consente di domandarsi: si potrebbe creare un sistema basato sul machine learning che studi le immagini che ci sono in rete per estrarre pattern utili alla generazione di oggetti di stile in modo automatizzato? La creatività artificiale parte da qui? Direi di no. Ma l’idea può costruire leadership culturale per chi l’ha lanciata. Per un po’. E può sicuramente migliorare il modo in cui Amazon mostra i capi di moda in vendita sulla sua piattaforma: un successo in ogni caso. Ma perché questa non è creatività automatica? Perché in questo modo, nella migliore delle ipotesi, si sistematizza ciò che avviene nello stile ma non si riesce a sviluppare qualcosa che non è avvenuto nella moda. Almeno questa è l’impressione di Tim Oates dell’università del Maryland che ha partecipato all’iniziativa di Amazon. In realtà, anche in questo caso, il machine learning va a ridurre la difficoltà di documentarsi per i designer, ma non sostituisce il loro apporto creativo. (MIT TechReview)
Domani sul Sole 24 Ore, un nuovo pezzo della serie dedicata al lavoro del futuro. Si parla per l’appunto di intelligenza artificiale.
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Domenico De Masi, Lavoro 2025, Marsilio
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